Oltremare – Pietre e Memoria
Le parole sono importanti. E ogni gennaio da qualche anno a questa parte io ne evito una bella fetta: tutta quella legata direttamente alla commemorazione del 27 gennaio e che inizia ormai lunghe settimane prima del giorno culmine. Deve essere una cosa profondamente umana, questa di sbrodolare celebrazioni e commemorazioni, come in America dove il Natale, si sa, inizia a fine novembre, nel giorno di Thanksgiving. E senza attraversare l’oceano, anche in Europa è l’8 dicembre la data di inizio della fine dell’anno. Quindi si doveva forse prevedere che per poter ospitare tutte le iniziative che necessariamente si producono per commemorare il Giorno della Memoria, non ci si potesse limitare al solo giorno dedicato, ma si sarebbe tracimato pesantemente nei giorni prima più che dopo. Ma se le parole sono importanti, intanto sarebbe il caso di risparmiare quelle inutili e poi sarebbe utile o forse perfino necessario usare una certa precisione nel loro utilizzo. Mi riferisco all’uso dell’espressione “morti”, riferita a persone uccise nei campi o anche fuori. Nel parlar comune, e quindi anche nello scritto, ci si trova spesso davanti a frasi come “tale e tale persona, morta ad Auschwitz”. Errore che sta nel pensiero, edulcorato o superficiale, di chi scrive o parla. Nessuno è “morto” nei campi. Tutti sono stati assassinati. Uccisi in modo attivo, scientifico e pragmatico, e non semplicemente passati a miglior vita. Per questo, forse l’unica espressione del Giorno della Memoria che si salva per me, è quella delle Pietre d’Inciampo, su ciascuna delle quali, in Italia almeno, compare proprio la parola “assassinato” o “assassinata”. Le Pietre d’Inciampo hanno virtù immense: sono qualcosa di fisico, impossibile da evitare, impossibile da non vedere, e rendono così presente quasi al tatto un pezzo di storia italiana che molti, quasi tutti ormai, considerano storia antica, da archiviare. E poi sono compatte, quasi eteree nel oro essere metallo nella pietra: un distillato perfettamente ossimorico di nozioni e di vite vissute.
Date, luoghi, nomi, ricordi che per natura sono qualcosa di impalpabile, insieme alla fisicità del prosaico marciapiede in cui sono incastonate. La memoria incastonata, appunto. Non dovrebbe servire niente altro, solo una camminata silenziosa a leggere ciascuna delle pietre, testi brevissimi che finiscono quasi sempre con l’unica parola che davvero importi: assassinati.
Daniela Fubini