“Intese, chiave della società aperta”

“I potenti, una volta affrescavano i soffitti, adesso badano alle escort”. Naso all’aria e bocca a aperta, mentre attendendo di essere ricevuti si ammira Pietro da Cortona che adorna i saloni di un antico, mitico palazzo romano, può accadere anche questo. Quando con un passo impercettibile il padrone di casa fa la sua apparizione, non si sa nemmeno bene da dove venisse quella voce. Forse un commento captato fra le parole dei commessi che attendono alla porta, forse solo una nostra suggestione, forse un pensiero appena soffiato dal Dottor Sottile al momento del suo ingresso in sala.
Con una carriera accademica e politica alle spalle troppo grande per essere raccontata in qualche colonna di giornale, Giuliano Amato si è fatto più discreto che mai. Dopo la caduta dell’ultimo governo Prodi, di cui è stato ministro dell’Interno, assicura di aver abbandonato la politica. Ma il suo nome torna alla ribalta a sorpresa in molte circostanze e da ultimo anche nell’affannosa ricerca di un nome italiano credibile e al di sopra di ogni sospetto per l’incarico di ministro degli Esteri europeo. “Lontano dalla politica si sta benissimo”, assicura lui. Anche se chi lo conosce bene avverte di guardarsi delle finte modestie che possono sempre celare qualche sorpresa dietro l’angolo. Costituzionalista, politico e intellettuale fra i più raffinati e navigati nell’Italia della prima e della seconda Repubblica, Amato continua a fare capolino al confine di quel cono d’ombra della sua proverbiale riservatezza da cui è molto facile uscire e rientrare. Certo è che da qualche tempo il professore fa la spola in tutta discrezione compiendo pochi passi nel centro di Roma fra due gloriosi edifici fra il Ghetto e Botteghe Oscure dove ben di rado si accendono i riflettori e che proprio per questo conservano il loro fascino: il palazzo Caetani, dove presiede il Centro Studi Americani, e il palazzo Mattei di Paganica, dove tiene il timone dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.

Vent’anni fa, professore, anche grazie al suo impegno di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e di giurista, prendevano corpo le Intese ebraiche. Da allora a oggi la società italiana è molto cambiata. Reggono, quegli accordi, alla prova del tempo?
Il modello delle Intese ha tenuto e l’accordo di allora, che consentì di portare i rapporti con le minoranze, prima fra tutte la minoranza ebraica, nel quadro costituzionale di una democrazia avanzata, ha tracciato una strada dalla quale non possiamo discostarci.

Ma le Intese, una soluzione giuridica che trova ben pochi termini di paragone nelle democrazie occidentali fedeli al principio della separazione dei poteri, viste da un giurista come lei considerato fra i massimi esperti di diritto costituzionale comparato, non dovrebbero essere interpretate come un segno di arretratezza tutta italiana, come lo scotto da pagare per aver preteso di portare il Concordato del 1929 all’interno della Costituzione?
Niente affatto. Al di là del problema delle origini del dettato costituzionale e dell’esigenza di trovare un equilibrio stabile e sano nei rapporti con la Chiesa cattolica, il meccanismo delle Intese rappresenta un modello giuridico estremamente interessante e originale. Culture giuridiche gloriose che predicano la stretta separazione fra stato e religioni non riescono necessariamente a gestire tutti i problemi che società sempre più complesse e multiculturali sollevano. Così in Francia, ma anche negli Stati Uniti, ci si trova ad affrontare nodi non facilmente dipanabili.

E con le Intese?
Si tratta di uno strumento che mette in chiaro i rapporti e previene problemi e incomprensioni, riconosce la diversità e preserva l’autonomia e la dignità di tutte le parti in causa.

Cosa ricorda di quelle lunghe, complesse trattative che portarono alla firma dell’Intesa ebraica?
Affrontammo, assieme alle Commissioni che rappresentavano il governo e la minoranza ebraica in Italia, problemi molto delicati. Primo fra tutti quello di trovare una definizione delle Comunità ebraiche italiane e di costruire un ruolo al passo con i tempi e con realtà del loro organismo di rappresentanza.

La minoranza ebraica è presente in Italia da oltre due millenni, la sua vicenda non è solo antichissima, ma anche strettamente connessa con tutta la storia italiana. Di cosa discussero le Commissioni formate da Cesare Mirabelli, Carlo Cardia e Francesco Margiotta Broglio da una parte e da Guido Fubini, Vittorio Ottolenghi, Dario Tedeschi e Giorgio Sacerdoti dall’altra?
Ricordo bene che la chiave dell’accordo si trovò identificando la giusta definizione delle Comunità laddove l’Intesa specifica che le Comunità ebraiche italiane sono “formazioni sociali originarie”. Al di là delle parole si ribadiva con forza che identità nazionale italiana e storia della presenza ebraica nel nostro paese sono indissolubilmente intrecciate. Ma si specificava anche che gli ebrei italiani accettano di dialogare con le istituzioni attraverso le loro istituzioni, in particolare attraverso l’Unione delle Comunità Ebraiche che è in effetti firmataria e titolare dell’Intesa.

Sta di fatto che quella stagione felice delle Intese sembra ormai dietro le spalle e lo Stato oggi fatica a riconoscere e inquadrare le nuove minoranze, le diverse realtà che stanno cambiando a vista d’occhio la composizione della popolazione italiana. A cominciare dai musulmani. Lei, professore, si attirò molte critiche quando facendo riferimento ai diritti negati delle donne non ebbe il timore di evocare una tradizione “siculo-pakistana”. Come stanno le cose?
Evidentemente adattarsi a realtà nuove che cambiano tanto rapidamente l’immagine di un Paese non è cosa facile. Ma l’anello debole non è il modello delle Intese e se il meccanismo si è inceppato, le ragioni sono ben altre.

Quali?
Prendiamo in considerazione la realtà emergente dei musulmani in Italia. Certo ci sono profonde differenze culturali da colmare. Ma non solo. Chi li rappresenta? Chi è titolare a parlare per loro conto? A stringere accordi? Con chi dobbiamo ragionare? Il modello delle Intese può dare i suoi frutti se lo Stato ha un interlocutore.

Vuole dire che se gli ebrei italiani non fossero stati capaci nella loro storia bimillenaria di preservare la loro coesione, la loro unità nei confronti del mondo esterno, l’Intesa ebraica non avrebbe potuto prendere corpo?
Certo sarebbe stato molto, ma molto difficile. Non vedo come molti problemi avrebbero potuto trovare soluzione se una realtà come l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non fosse esistita e non avesse avuto la capacità e la forza di rappresentare le istanze di tutti gli ebrei italiani. Ma su questo tema c’è ben altro da aggiungere.

Per esempio?
Adattarsi alle grandi mutazioni richiede intelligenza e creatività. Le Intese hanno rappresentato un banco di prova su cui applicare queste capacità. Un esempio concreto. Così come configurato, se preso alla lettera l’articolo 10 della Costituzione proclama il diritto d’asilo e afferma che questo diritto può essere goduto da coloro che non vedono riconosciuti i diritti garantiti a tutti i cittadini italiani. Sarebbe a dire che noi dovremmo offrire asilo a qualche centinaio di milioni di cinesi che si vedono negare dal loro governo il diritto di procreare. Evidentemente dobbiamo andare avanti, adattare quei ragionamenti che nacquero alla fine della dittatura alla realtà di oggi. Trovare spazi e strumenti per un confronto creativo. E l’esperienza delle minoranze storicamente radicate, in particolare della minoranza ebraica, possono essere determinanti.

In questa parentesi lontana dalla politica ha accettato di presiedere l’Istituto dell’Enciclopedia Treccani. Rifugio da un mondo sempre meno comprensibile o nuova sfida verso il domani?
Se penso alla realtà italiana, mi viene da credere che serva molto più di quello che mi resta da vivere per dare un contributo significativo alla soluzione dei problemi. Vorrei ciononostante rendermi utile ripartendo dai grandi libri. Non possiamo rinunciare, se continuiamo a sperare in un futuro migliore, a difendere la cultura italiana e a rifornire gli italiani interessati di idee, di studio e di conoscenza.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche dicembre 2009

(Nelle immagini: ritratti di Giuliano Amato durante l’intervista a Pagine Ebraiche, dal taccuino di Giorgio Albertini)

(31 gennaio 2022)