Anche oggi l’indifferenza
Non è solo l’accanimento violento delle due ragazzine quindicenni contro il bambino ebreo dodicenne a colpirci come un pugno nello stomaco di fronte all’aggressione antisemita di Campiglia Marittima. Non sono solo le loro parole di puro odio antiebraico a farci venire i brividi riportandoci a ottanta anni fa. È anche l’assordante silenzio della gente che nel parco pubblico ha assistito alla scena a ferirci profondamente: non uno dei genitori che certo accompagnavano i propri figli ha aperto bocca, è intervenuto per riprendere le due adolescenti; non uno ha manifestato solidarietà ai genitori del ragazzino e sdegno per l’episodio. La mentalità comune tende evidentemente a liquidare fatti del genere come scherzetti tra giovani, stupide ragazzate di poco conto. E invece è proprio questo atteggiamento superficiale e indifferente, diffuso di fronte al riemergere dell’antisemitismo come di fronte ad altre espressioni di intolleranza e di odio, ad allarmarci, e non meno del cieco astio che leggiamo nelle parole e negli sputi delle due giovani. Quella violenza, verbale e non solo, ci rattrista perché deturpa la gioventù di chi se ne fa portatore e ci preoccupa per l’ombra che getta sul sistema educativo italiano, per i dubbi che suscita sull’efficacia formativa del Giorno della Memoria. Questa alzata di spalle generale ci inquieta perché ci fa capire come nell’atteggiamento collettivo ben poco sia in fondo cambiato rispetto agli anni terribili delle leggi razziste e delle persecuzioni: la consapevolezza dei contenuti di odio e la coscienza dell’offesa all’altro restano estranee ai più; la massa – tutta intenta a se stessa, in una fase di obiettiva emergenza – non si preoccupa di reali o potenziali vittime del rifiuto, soprattutto quando esse rappresentano una infima minoranza. Ed ecco il non cale, ecco la sottovalutazione, ecco – come esito finale – l’indifferenza. La stessa che circondava gli ebrei italiani al momento delle leggi razziali e poi all’inizio degli arresti e delle deportazioni.
L’eruzione incontrollata di veleno antisemita è in sé perfida nonché irrazionale e mutante, quindi difficilmente emendabile. Eppure, per quanto problematico, è sempre possibile il recupero educativo e morale di chi tende a perdersi nella deriva fanatica dell’intolleranza. Per questo ha un senso la proposta, avanzata da un esponente della Lega, di accompagnare le due quindicenni in questione in un viaggio-studio ad Auschwitz. Soprattutto, nonostante le amare considerazioni di cui sopra intorno alle ricorrenze dedicate alla memoria e alle carenze del sistema scolastico, anche davanti a episodi così gravi non possiamo e non dobbiamo generalizzare. Rispetto a casi inquietanti ma non molto numerosi di aperto antisemitismo giovanile, contiamo frequenti esempi di studenti e di intere classi che lavorando con i loro insegnanti su storia e memoria della Shoah imparano a conoscere rispettare apprezzare il mondo ebraico e e le sue vicende, come esempio complesso di identità collettiva di minoranza, accanto alle identità collettive di altre minoranze.
L’attuale indifferenza davanti alle vicende e ai rischi reali di aperto antisemitismo appare invece, paradossalmente, un osso ancora più duro della convinzione dichiaratamente antiebraica. E questo per vari motivi. Innanzitutto perché il sentirsi estranei a una questione che coinvolge direttamente “altri” non è un contenuto ideologico deviante a cui opporsi con idee razionali, bensì un nemico sfuggente a cui è arduo contrapporre modelli precisi. Inoltre, il diffondersi dell’indifferenza davanti all’accentuarsi del fenomeno antisemita significa permettere che esso si insinui con crescente facilità e senza forti opposizioni nel tessuto sociale. E in definitiva, oggi, il pericolo maggiore non è tanto la pur permanente mitologia negativa dell’ebreo secondo il classico e pieno stereotipo antisemita, quanto piuttosto il dilagare sottotraccia di sopravvivenze del pregiudizio, il proliferare di frammenti di immagini legate a visioni complottistiche in cui la “finanza ebraica” ha una funzione dominante: rappresentazioni vaghe e minacciose che sono alimentate o alla fin fine condivise dall’indifferenza, dall’assenza di empatia nei confronti di chi è al centro di accuse generalizzate.
A prevalere, in conclusione, è l’amarezza di fondo per la pericolosa ambiguità della situazione in cui oggi ci muoviamo: da un lato l’attivo impegno di una minoranza (cittadini consapevoli, insegnanti, studenti) per preservare memoria e iniziativa contro l’intolleranza; dall’altro il brulicare di una maggioranza distaccata, non coinvolta e insofferente, stanca di ascoltare racconti di aggressività passate e presenti, di morti e di salvezze. Non è un clima molto rassicurante.
David Sorani
(1 febbraio 2022)