Scuola negata
“Scuola negata. Le leggi razziali del 1938 e il liceo E.Q. Visconti” della Biblion Edizioni, Milano, dicembre 2021, autrice la professoressa Romana Bogliaccino, è un volume imperdibile per diverse ragioni, fra le quali l’erudizione e la bella cultura di chi l’ha scritto, la quale fin da principio cita i fermenti antisemiti che prepararono scientemente il terreno delle leggi razziste.
Il primo autore citato è Paolo Orano, Gli ebrei in Italia, Casa editrice Pinciana, 2° ed., Roma, 1938, che siamo andati a vedere, il quale esordisce riferendo della “sollevazione degli arabi di Palestina contro l’immigrazione israelitica intesa a ricostituire lo Stato sionistico” (p. 9), contribuendo così ad accreditare il valore dei testi sacri, laddove, ad esempio, anche Salomone avrebbe regnato come sionista. Orano lamenta (p. 79) che vi fosse un “ritegno politico e letterario” ebraico che avrebbe impedito la nascita di figure di valore. Eppure sul piano delle lettere Alberto Moravia era già attivo, così come lo erano Umberto Saba e Italo Svevo per non dire, in ambito politico, di ben due Presidenti del Consiglio. Orano trova modo, però, di dare a Luigi Luzzatti del “simpaticone”: questa era la sua cifra e questo il suo “valore”. Nemmeno aveva considerato che gli ebrei erano meno di un millesimo dei non ebrei. Ciò che a Orano stava a cuore era stabilire che gli ebrei non erano dei veri italiani, non erano tutt’uno con il paesaggio nazionale. Orano accusa gli ebrei di essere filosionisti, ma quando erano chiusi nei ghetti il sionismo non esisteva, eppure il loro status era di inferiorità assoluta, visto che erano bersagliati di divieti di ogni tipo. Israele, sostiene Orano, “ha governato l’Inghilterra”. Indi, discorre di Gesù che “in Roma non è più ebreo, ma del mondo perché romano”; tutte queste farneticazioni, però, non sono finite con lui.
Romana Bogliaccino menziona Franco Modigliani, un ebreo romano allievo del Visconti, Premio Nobel per l’Economia, il quale ebbe per allievi Mario Draghi e il Nobel Robert Shiller. Fa male (ma è imprescindibile) leggere della paziente tessitura con la quale gli ebrei romani si ingegnarono per far proseguire gli studi ai figli, tornati alla condizione miserevole di paria dopo 68 anni; nei due casi, sia del papato che del fascismo, non furono i rispettivi poteri a ripristinare i loro diritti, ma fu la forza delle armi a restituirli alla vita civile. La differenza risiede in ciò che il papato non pensò prima della perdita del potere temporale alla soppressione fisica degli ebrei, anzi, durante l’occupazione nazista moltissimi ebrei trovarono rifugio presso i conventi. L’autrice, con pazienza e accuratezza, ricostruisce questa dolorosa pagina, recando un contributo alla storia degli ebrei italiani. Per non dire, inoltre, dell’augusto Liceo E.Q. Visconti, un tempio del sapere che costituisce l’oggetto della trattazione e che, sfidando le difficoltà provocate da un ordinamento entropico, mantiene sempre le sue ragguardevoli e nobili connotazioni d’eccellenza, della quale eccellenza l’autrice è magna pars. Nella bella descrizione dell’Istituto, vi è anche l’elenco delle opere depennate, perché di autori di razza ebraica; mancavano i Vangeli, ma il divario fra fede e ragione è connaturato all’animo umano. Alla luce di cotanto accanimento persecutorio a casa loro (gli allievi espulsi erano tutti italiani), verrebbe da sorridere al pensiero che, secondo i fascisti, gli ebrei non dovrebbero essere sionisti.
Grazie al mirabile impegno della Bogliaccino, i “viscontini” (i quali recano giusto vanto di questi quarti di nobiltà scolastica) possono ricostruire nel dettaglio le vicende del loro istituto, la cui storia non meritava l’esarazione delle pagine bianche. Non solo: la benemerita autrice ricostruisce generosamente l’itinerario scolastico degli allievi ebrei dopo l’espulsione, l’influsso concreto del fascismo sull’attività didattica attraverso i libri di testo e, infine, approda all’enunciazione dei nomi di Giancarlo Della Seta e Lello Frascati, due allievi che il Visconti non aveva voluto perché ebrei ma che i nazisti avevano cercato e sterminato. Un orribile destino riservato, al solito, agli ebrei. Sul sito di Yad Vashem troviamo un Lello Frascati, di Roma, del 1927 e Giancarlo Della Seta, pure lui del 1927, ambedue con la fatidica scritta “murdered”. Una fine infausta; se si va in fondo alla letteratura sull’Olocausto, la sinistra preferenza ed il lugubre primato, sono nostri. Dopotutto, Cesare Pavese scrisse che “lavorare stanca” ma non risulta che si sia pronunciato sulla fatica della lettura.
Il volume “Scuola negata” riporta in vita le (terribili) storie degli ebrei perseguitati, completa di equivoci tragici: poiché si credeva che la retata nazista riguardasse soltanto gli uomini, un padre di famiglia nascosto in un armadio assiste impotente all’arresto di moglie e figli. Nelle pagine del libro vi è spazio per la figlia di Totò, il principe Antonio de Curtis, che sposa un ebreo così come abbondante spazio è dedicato alle vicende della professoressa Maria Piazza, una vita straordinaria nella tempesta. Ciò che vi si trova è la vita vera, non quella romanzata dei discorsi commemorativi, ma storie che si toccano con mano, in cui sogni, incubi e vicende spicciole sono costretti a convivere in uno stesso resoconto, che il linguaggio convenzionale dei testimoni vorrebbe rendere normale, ma il contenuto glielo preclude.
Romana Bogliaccino riferisce anche dell’eroica attività resistenziale che ruotava attorno oppure direttamente nell’ambito del Visconti, e racconta anche di chi ha combattuto fieramente l’impossibile battaglia di Porta San Paolo e di chi è caduto nel barbaro massacro delle Fosse Ardeatine. Il volume reca numerose pagine di testimonianze dettagliate e toccanti, al fine di attribuire nome e cognome alle vicende umane, che sono poi lo scopo dell’impegno dell’autrice perché, altrimenti, le statistiche disumanizzanti avrebbero smarrito ogni valore. È per tale ragione che l’autrice, del cui slancio d’umanità è permeata l’intera opera, avverte (p. 424) che “salvare dall’oblio del tempo memorie umane, che con ogni mezzo il fascismo e il nazismo hanno tentato di calpestare e cancellare, è una rinnovata vittoria della giustizia e della vita su quelle ingiustificabili ideologie di morte”.
Poiché la mera enunciazione del male è inutile, e pertanto dannosa, Romana Bogliaccino, da buona professoressa, capisce che non si può prescindere dalla spiegazione ed essendo in possesso del dono della sintesi, la enuncia: erano (e sono) ideologie di morte. Ne consegue che l’autrice, quando riferisce direttamente del male che aleggia attorno a ciascuna pagina, non ha bisogno di un capitolo sulle cause, perché l’ottusità (non la banalità arendtiana), la meschinità e l’opportunismo sono volute che si staccano dalle pagine e che non richiedono particolari attitudini per essere decrittate: non confluiscono nella vita bensì nel suo contrario. Nous sommes tous des assassins, era il titolo di un film di André Cayatte del 1952. Anche fuori dalla specifica trama, il titolo fa riflettere sulla responsabilità in generale, alla luce della quale l’opera della Bogliaccino andrebbe consigliata come lettura extra curriculare, onde esplorarne testo e sottotesto. Sarebbe un bell’esercizio intellettuale.
Emanuele Calò, giurista
(1 febbraio 2022)