Il dossier di Pagine Ebraiche
“Memoriale, segno di una città”
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“Arrivati alla Stazione Centrale, la fila dei camion infilò i sotterranei enormi passando dal sottopassaggio di via Ferrante Aporti; fummo sbarcati proprio davanti ai binari di manovra che sono ancora oggi nel ventre dell’edificio. Il passaggio fu velocissimo. SS e repubblichini non persero tempo: in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena un vagone era pieno, veniva sprangato e portato con un elevatore alla banchina di partenza. Fino a quando le vetture furono agganciate, nessuno di noi si rese conto della realtà. Tutto si era svolto nel buio del sotterraneo della stazione, illuminato da fari potenti nei punti strategici; fra grida, latrati, fischi e violenze terrorizzanti”.
Liliana Segre ha raccontato molte volte quel tragico 30 gennaio 1944 quando, nell’indifferenza di Milano, lei, il padre e centinaia di altri ebrei furono tradotti dal carcere di San Vittore nei meandri della Stazione centrale per poi essere trascinati ad Auschwitz. Lontano dagli occhi dei regolari viaggiatori, portati nell’area che originariamente era adibita al carico e scarico dei vagoni postali. Dal 1931 quella zona era dotata di un elevatore che consentiva di far salire i vagoni al piano superiore e di collegarli ai treni in partenza da Centrale. Un sistema molto avanzato per l’epoca, tragicamente usato per deportare centinaia di vite.
“Per decenni non sono più tornata – racconta a Pagine Ebraiche la senatrice a vita – La prima volta ricordo che fu con la Comunità di Sant’Egidio negli anni Novanta. Loro portavano di notte alimenti caldi ai senza tetto che avevano trovato rifugio in quei sotterranei. Era un luogo buio, dismesso e abbandonato”. Anni in cui anche il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) riscopriva il significato di quella parte nascosta della stazione, con gli storici Liliana Picciotto e Marcello Pezzetti che approfondivano il percorso della deportazione da Milano. “Ricordo che con Picciotto e Pezzetti facemmo lì un’intervista. Ma soprattutto ricordo le primissime volte che ritornai con rav Giuseppe Laras, con il cardinale Carlo Maria Martini e Sant’Egidio per accendere insieme una candela. Non era un momento religioso, ma umano. Un modo per ricordare le persone che da lì erano partite per non tornare mai più”.
Dal 1997 questa piccola cerimonia è diventata una tradizione che si ripete ogni 30 gennaio. Nel frattempo, il buio antro un po’ dimenticato è diventato un luogo visitato e conosciuto: il Memoriale della Shoah di Milano. “Storicamente parlando è un luogo di importanza enorme. – sottolinea Segre – Le stazioni negli anni sono state rimaneggiate, modificate per esigenze tecniche e molte tracce del passato sono state cancellate. Lì no ed era importantissimo farne un punto di riferimento per la Memoria della città e non solo”.
La senatrice racconta di aver da subito spinto per la nascita di un Memoriale, ricorda le difficoltà iniziali, il grande lavoro fatto per sensibilizzare le istituzioni, la partecipazione dei privati. “Inizialmente le ferrovie dello Stato avevano ben altri programmi. Poi, con l’ad Mauro Moretti, ci fu la svolta. E si iniziò a mettere in piedi il progetto”. A firmarlo, gli architetti Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis. “Ci sono molti nomi che potrei fare che hanno contribuito a far nascere il Memoriale, ma vorrei ricordarne uno perché non è mai sotto i riflettori: Marco Szulc. È stato presidente e fondatore dell’Associazione figli della Shoah e ha consacrato anni della sua vita per veder nascere il progetto in stazione”.
Inaugurato nel 2013, il Memoriale ora raggiunge un ulteriore passaggio fondamentale, accogliendo la struttura del Cdec. “Ben venga l’arrivo del Cdec con il suo importante archivio, è stata un’ottima idea. Quello che mi preme però è che il Memoriale sia sempre più conosciuto. Per questo ho accompagnato il Presidente Draghi, la ministra Cartabia e il Presidente Mattarella nelle loro visite: perché ritengo che meriti visibilità. Non ci sono tanti posti carichi di quella storia in Italia. Tutti si devono impegnare per farlo conoscere”. L’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza cittadina, è stato un passaggio importante in tal senso: consegnato lo scorso dicembre al presidente della Fondazione del Memoriale Roberto Jarach, “è stato un segno significativo di attenzione della città”, evidenzia Segre. “Ma non ci si deve fermare”.
Ci si ferma invece davanti alla parola che la sopravvissuta alla Shoah, che ad Auschwitz perse il padre e i nonni, ha voluto capeggiasse a caratteri cubitali nell’atrio del Memoriale: indifferenza. “Quando ho pensato che da ragazza fui messa su quel treno con destinazione Auschwitz, nell’indifferenza generale che fu un silenzio colpevole e indimenticabile, allora mi sono battuta affinché su quel muro venisse scritto proprio ‘Indifferenza’”. Un monito per le future le generazioni. “Se servirà come lezione per gli anni a venire? Guarda io porto il 41, ho un piede grande, ben ancorato al suolo – spiega con un sorriso amaro Segre – E preferisco non commentare cosa penso del futuro”.
Daniel Reichel – Dossier “Documentare la Memoria” – Pagine Ebraiche febbraio 2022