La mobilitazione nel nome di Wiesel
“Uiguri perseguitati,
atleti lascino Giochi”
“Esortiamo gli atleti e gli sponsor ad abbandonare i Giochi. E invitiamo i cittadini di tutto il mondo ad abbracciare la causa di questa popolazione perseguitata”.
Un chiaro messaggio quello veicolato dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Pechino. Una delle edizioni più controverse nella storia di questa manifestazione sportiva proprio per il tema dei diritti umani negati, della spietata repressione esercitata dalle autorità cinesi. Spesso nell’indifferenza generale.
Un tema caro al mondo ebraico che ha aderito a questo appello, veicolato anche sulle pagine del New York Times, nelle figure del filosofo Bernard-Henri Levy e dell’ex dissidente e attivista Natan Sharansky. “La Cina, che fa parte del Consiglio per i diritti umani, infligge internamenti, lavoro forzato e sterilizzazione al popolo uiguro. Mentre il mondo chiude un occhio” l’atto di accusa di Elisha Wiesel, figlio del Nobel per la Pace scomparso nel 2016 di cui si richiama, con riferimento anche il suo impegno di Testimone della Shoah, l’azione incrollabile contro ogni forma di odio, pregiudizio, violenza.
Tra le prime voci a levarsi, lo scorso anno, quella del rabbino capo d’Inghilterra Ephraim Mirvis: “Lo sport – le sue parole – è tale se unisce e ispira. Facciamo sì che i Giochi invernali si trasformino in una piattaforma di solidarietà verso la popolazione uigura piuttosto che in uno strumento per distrarre il mondo dalla spaventosa ingiustizia che stanno subendo”.
Ottantasei i Paesi partecipanti. Incluso Israele, che sarà ai Giochi con una delegazione composta da sei atleti.