Gli appelli di Bassani
Quando si parla di Giorgio Bassani, viene in mente soprattutto il romanziere, forse meno noto è l’impegno dell’autore per la salvaguardia del patrimonio artistico-culturale della penisola, emerso soprattutto quando nel 1955 fu tra i fondatori dell’associazione culturale Italia Nostra, e presidente della stessa dal 1965 al 1980. Leggendo il saggio dedicato interamente a Taranto, “Dalle macerie, cronache sul fronte meridionale” (Feltrinelli, 2018) del giornalista recentemente scomparso Alessandro Leogrande un capitolo è dedicato agli appelli di Bassani per il recupero della Taranto Vecchia.
Intorno alla metà degli anni ’60 quando Taranto “risorse” a seguito della costruzione dell’acciaieria Italsider (oggi conosciuta come Ex Ilva), l’amministrazione comunale democristiana propose di radere al suolo interamente la città vecchia salvando solo qualche edificio monumentale per poi edificarvi una sorta di “nuova Manhattan” o “Dubai”. Contro questo progetto delirante di abbattimenti si schierarono numerosi intellettuali del tempo, oltre a Bassani, anche l’architetto Bruno Zevi, Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Arrigo Benedetti.
Bassani affermò che “ci sarà senza dubbio chi, pur di abbattere la cosiddetta edilizia minore dell’unico quartiere antico rimasto a Taranto, si offrirà di censire uno per uno palazzi e chiese di qualche pregio, e persino di restaurarli di tasca sua. Ma occorrerà essere fermi. Non farsi ricattare. Dirgli di no. Perché la poesia non è il fiore sul vulcano. Brama il contesto, esige le strutture. È il riflesso della vita, la prova della vita. E, proprio come la vita, non è mai pura.“
Già, il patrimonio storico-artistico non ha più nessun valore se viene estromesso il contesto in cui si è sviluppato, il tessuto reale nel quale si muovono i suoi abitanti per svolgervi la vita quotidiana. Patrimoni vivi e immateriali come le persone, le lingue, le abitudini, le memorie che non possono essere rinchiuse in qualche museo. “La cultura è tale solo se ricondotta alla vita reale, non quando viene vissuta con svago estivo” scrive Leogrande.
Centri storici come quelli di Roma, Napoli o Venezia sono diventate per lo più indistinte vetrine o “brand” a misura del frettoloso turista, assediati da B&B, trattorie posticce uguali da Nord a Sud e negozi che vendono paccottiglia ingrossa-discariche.
Fortunatamente Taranto, grazie anche all’intervento di intellettuali come Bassani, è riuscita a salvarsi almeno dalla distruzione paventata dal comune nel dopoguerra, e anche dalla gentrificazione che ha coinvolto altri centri storici adesso ormai invivibili. Nonostante ciò, e occorre a questo punto leggere il libro di Leogrande, Taranto resta probabilmente una tra le città più belle d’Italia ma completamente abbandonata a se stessa e straziata dall’annosa questione Ex Ilva.
Quando si arriva col treno dalla Lucania, appena dopo l’immenso complesso siderurgico, come una nave in disarmo, appare la città vecchia con le sue case fatiscenti e accatastate l’una sull’altra. Gran parte dei suoi abitanti ha abbandonato “l’Isola” alla fine del secolo scorso quasi costretta per il rischio di crolli a spostarvi ai margini, nelle periferie dormitorio che si sono espanse disordinatamente a macchia d’olio. A oltre cinquant’anni di distanza manca ancora un reale e intelligente piano di recupero della città vecchia di Taranto, ma purtroppo, oy vey mancano nell’Italia d’oggi anche personalità come Giorgio Bassani.
Francesco Moises Bassano
(4 febbraio 2022)