“Costituzione, raccontiamola ai giovani”

Nel suo discorso di insediamento il Presidente Mattarella si è spesso riferito al concetto di “dignità”, spronando a difenderla in ogni sede e contro ogni possibile minaccia (antisemitismo compreso). Un termine che risalta nella legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, e in particolare nell’articolo tre dove si afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Grandi uomini e grandi donne – perseguitati dal fascismo, non di rado fino all’estrema conseguenza – furono il punto di riferimento dei padri costituenti che il 25 giugno del 1946 si riunirono una prima volta a Palazzo Montecitorio. La loro eco, il loro riverbero, nella battaglia per quel riconoscimento della “dignità dell’individuo” su cui si sofferma Valdo Spini, ex ministro e attuale presidente dell’Associazione degli istituti di cultura italiani e della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, nella sua prefazione a Preludio alla Costituente (ed. Castelvecchi).
Un libro prezioso che, sotto il coordinamento Alberto Aghemo, Giuseppe Amari e Blando Palmieri, ripercorre numerose di quelle biografie. Al centro figure celebri come quelle, tra i tanti che pagarono quello slancio con la vita, di Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci, Carlo e Nello Rosselli. Ma anche le storie dei “tanti meno noti che dettero un contributo eroico, sacrifico, accomunati dalla stessa battaglia antifascista”. Firma la postfazione Giuliano Amato, neo presidente della Corte costituzionale.
La seconda edizione ampliata e rinnovata è stata l’occasione di un evento svoltosi in sala Zuccari, a Palazzo Giustiniani, arricchito anche dalla presentazione del progetto “Il racconto della Costituzione” che si rivolge, con un linguaggio fresco e dinamico, alle nuove generazioni. Tra gli intervenuti il Consigliere UCEI Saul Meghnagi, prefatore di una delle sezioni antologiche.
L’incontro, organizzato dalla Fondazione Giacomo Matteotti, dalla Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, dalla Fondazione di Studi Storici Filippo Turati e dall’AICI, si è aperto con la lettura di un messaggio di saluto della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Tra i relatori anche il professore emerito di Scienza politica Gianfranco Pasquino, Maurizio Degl’Innocenti, Giovanna Leone, Pietro Polito e Pina Impagliazzo. Al regista Vittorio Pavoncello il compito di introdurre la versione teatrale.
Di seguito l’intervento di Saul Meghnagi:
Il rispetto di ogni diversità
L’articolo 3 della Costituzione afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
L’azione educativa – che la graphic novel suggerisce attraverso la lettura e l’uso didattico dei testi suggeriti – si propone, tra l’altro, di ricondurre l’analisi della nostra società al reale rapporto di gruppi, comunità, associazioni rappresentative di interessi il cui confronto deve avvenire attraverso organismi preposti a livello nazionale e internazionale. È possibile, parlandone in sede formativa, dare conto del processo che ha accompagnato, poco prima e durante l’Illuminismo, lo sviluppo di un sistema morale ed etico che, in parte, si ispira, ma è autonomo dalle religioni.
Ma c’è di più, la sottolineatura dell’art.3 pone dei principi che sono alla base della convivenza civile e, nel contempo, della complessa struttura della rappresentanza e dell’equilibrio dei poteri, fissato, in ogni democrazia, a fondamento dello Stato di diritto.
L’idea e la pratica dell’annientamento del popolo ebraico, nel ventesimo secolo, si sono sviluppate in Europa, nel luogo che ascrive a sé i valori fondamentali della democrazia. La Shoah ha visto la sua realizzazione concreta in un continente che ha contribuito in modo decisivo alla filosofia, alla letteratura, alla musica, all’arte: un ambito unico di studio, di ricerca, di elaborazione sulle forme della convivenza culturale. La scienza – dalla quale si attendeva un decisivo sviluppo delle condizioni di vita e di lavoro di molte popolazioni – è stata asservita a piani di uno sterminio al quale avrebbero collaborato ingegneri, medici, biologi, tecnici, progettisti, impegnati nel fornire ai carnefici i mezzi più raffinati per l’assolvimento del loro compito. Il sapere non impedì la violenza, al contrario ne alimentò la capacità distruttiva. Da ciò molte domande che non possono essere limitate ai soli eventi e al loro succedersi ma al modo con il quale analizzare, decodificare, spiegare quanto accaduto.
I testi riportati sono utili a tal fine: non propongono solo le riflessioni sulle atrocità delle quali una parte degli autori sono stati diretti interessati o testimoni, ma gli interrogativi su quanto accaduto, sui perché di un odio incomprensibile, sull’ideologia stessa di persone che agivano ignorando o negando ai perseguitati una dimensione umana, sulla stessa cultura e tradizione etica dell‘Europa. La Shoah costituisce un evento comune a tutti i paesi europei e assume un carattere emblematico e identitario comune, al di la delle connotazioni storiche e delle caratteristiche di ciascuno dei paesi che la compongono.
Dai quesiti, e dai preziosi scritti che direttamente o indirettamente li pongono, scaturisce una ulteriore domanda, se ci si riferisce all’oggi: come ricordare? C’è un primo modo, quello di commemorare coloro che hanno perso la vita, riproponendo una frase spesso sentita: “perché tutto questo non si ripeta”. C’è un secondo modo, più complesso: ricordare per progettare un futuro diverso, agire a tale scopo, considerare piccoli aspetti della vita e delle relazioni sociali come parte di un processo più ampio di rispetto reciproco.
La nostra Costituzione è rigorosamente orientata verso la seconda modalità, sia fornendo prescrizioni formali, sia fissando principi etici ai quali richiamarsi per costruire un futuro fondato sul confronto, sul dialogo, sullo scambio tra diversi. Partendo da questa prospettiva e da quella dei testi proposti, appare utile affrontare la delicata relazione, in uno stesso Paese, tra uomini e donne di diversa provenienza ed educazione.
Anche per questo motivo ragionare sulla Shoah è significativo per la stessa costruzione di riferimenti identitari comuni nella costruzione di una Europa di pace, di democrazia, di convivenza.
Il caso ebraico è emblematico. Gli ebrei non sono definibili solo in relazione a un credo religioso. Sono il risultato di un costante confronto con la storia e con altri gruppi umani con cui hanno convissuto. Sono l’esito di un processo di ibridazione, rimescolamento, riscrittura dei propri modi di essere e di pensare. Questo vale per molti. Dopo la Shoah, l’ebraismo europeo ha posto al centro della propria partecipazione civile la tutela di una propria specificità come contributo alla crescita di una cultura nazionale che da diverse tradizioni che le appartengono può trarre alimento, come è stato dall’Unità del Paese. È per questo utile ragionare su processi di costruzione di appartenenze identitarie al nostro Paese e a tutta l’Europa.
Oggi, mutatis mutandis, una problematica analoga a quella che ha investito gli ebrei, si pone in relazione ad altri soggetti e collettività. “Molti dei nostri contemporanei – scrive Bauman – sono stranieri. Sappiamo e capiamo poco delle loro vite. Assumiamo che, ove comunichiamo con loro dovremmo superare la mutua incomprensione, un ostacolo che scaturisce dalla poca chiarezza, o forse impenetrabilità dei segni che denotano le intenzioni di ciascuno“.
La sfida della democrazia, per questo, è quella di regolare, oggi più che mai, la convivenza tra le tante, variegate, sensibilità: gli usi, le consuetudini, l’analisi del presente, l’elaborazione del passato, la memoria si configurano come materie di confronto e, a volte, di conflitto per la definizione di progetti e di modelli di società. Da ciò l’importanza di una chiarezza terminologica, utile a evitare equivoci e pregiudizi: quella di distinguere tra “nazionalità” e “cittadinanza”.
La cittadinanza è la condizione giuridica alla quale l’ordinamento di uno Stato attribuisce la pienezza dei diritti politici e civili e, più precisamente, l’insieme dei diritti e dei doveri. Il termine di “cittadinanza” è un termine diverso da quello di “nazionalità”, che indica il sentimento di appartenenza a una comunità, per cultura, tradizione, lingua, religione, storia. Tale appartenenza non è esclusiva, si può essere, nel contempo, parte di più culture.
L’identità di un grande paese è il risultato di un costante confronto con la cultura in essere, la geografia, la demografia, la composizione mutevole dei propri cittadini. È una continua riscrittura dei propri modi di essere: ogni nazione è l’esito di processi di trasformazione nel corso dei quali popolazioni tra loro eterogenee si sono incontrate e conosciute costruendo progressivamente un’identità collettiva. La Costituzione e le sue modalità operative sono il fondamento di quel processo di nation building che ha dato vita alle indipendenze nazionali e alla costruzione dell’Europa.
L’idea del rispetto per la coscienza di ogni persona o comunità è alla base di una visione specifica delle funzioni dello Stato. Il rispetto di ogni diversità è fondato sul riconoscimento delle comuni basi etiche della vita e del suo significato ultimo. Ciò implica il comune impegno affinché ciascuno possa seguire i propri principi morali, senza che la supremazia di un credo sovrasti gli altri, sia sul piano giuridico sia nella definizione delle regole condivise della convivenza.
Saul Meghnagi
(7 febbraio 2022)