Dai Maccabees al sogno della Nba,
il Nyt racconta il “Jewish Hero” Turell

Da fine dicembre nella bacheca social dei Maccabees, la squadra di pallacanestro della Yeshiva University, risalta un apprezzamento niente male. Sono i complimenti della National Basketball Association, meglio nota come Nba, per un record che non sarà semplice battere: la più lunga striscia di vittorie consecutive ottenuta nei tornei universitari. E poco importa che fatto 50, non si sia fatto 51. L’impresa del team che rappresenta l’istituzione simbolo dell’ebraismo modern orthodox ha fatto e continua a far parlare. Riflettori puntati soprattutto su Ryan Turell, la star indiscussa, che la Nba un giorno potrebbe raggiungerla (un destino profetizzato da media del settore e non). Intanto la scorsa settimana si è accontentato di entrare nella storia, più modesta ma comunque non banale, dei Maccabees. Con un’altra prestazione in doppia cifra si è infatti attestato al vertice dei marcatori di ogni epoca con la casacca della YU: ben 1872 i punti che portano la sua firma. Un’impresa che gli ha fatto guadagnare una vetrina importante, quella del New York Times, che gli ha dedicato un lungo articolo intitolato “The Nation’s Top Scorer Plays for a School and a People”. È il ritratto di un atleta che, almeno a livello di college, sembra avere ben pochi capaci di tenergli il passo. Ma è anche il racconto di una vita di scelte, anche nel segno di un riuscito equilibrio tra pratica sportiva e identità ebraica.
“Ho frequentato scuole ebraiche tutta la mia vita, sono cresciuto con un’educazione religiosa, rispetto la casherut” racconta Turell al NYT. Una scala di valori che è intenzionato a difendere con determinazione. Al punto da aver rifiutato offerte da realtà ben più prestigiose che quell’equilibrio, conquistato con fatica, avrebbero rischiato di mandarlo in frantumi. “I miei genitori sono rimasti quasi interdetti perché sono al corrente del mio sogno di fare carriera. Ma io – ha spiegato – voglio essere uno ‘Jewish Hero'”.
Da lì la scelta della Yeshiva University, cui sta regalando una visibilità mai sperimentata finora (almeno non in ambito di pallacanestro). Un apporto decisivo anche per le motivazioni del resto della squadra. “Non stanno giocando soltanto per un’università, ma anche per un popolo”, l’opinione del suo presidente Ari Berman. Non c’è quasi partita ormai in cui osservatori dell’Nba non seguano di persona le imprese dei Maccabees e del loro gioiello, il 22enne Turell, che sul parquet scende sempre con una kippah ben fissata sulla testa. Il suo sogno: diventare il primo giocatore ortodosso a farsi valere nel più importante campionato al mondo. La strada è ancora lunga. Ma canestro dopo canestro si sta forse accorciando.