Memoria sospesa

Venezia. Ragazzini di una scuola media alzano il braccio nel saluto romano e si fanno fotografare dalla finestra dai compagni. La foto va sul profilo della chat di classe. Qualche genitore lancia l’allarme, qualche altro non ci trova nulla di grave, anzi reagisce maluccio sui social contro chi denuncia. Il giornale locale ne parla e il Preside/Rettore della scuola scende in trincea accusando il giornale stesso di scandalismo. Un giorno di sospensione ai ragazzini, ma la sospensione viene a sua volta sospesa in attesa di tempi migliori.
Che considerazioni fare? La denuncia di un fatto accaduto nella scuola produce fastidio. La si giustifica affermando che nella scuola la storia la si insegna ma non vi è certezza che gli insegnamenti vengano recepiti! Ossia: noi diciamo che cosa è stata la Shoah e che cosa è stato il fascismo (lo insegnano davvero? come?), ma che ci possiamo fare se non lo imparano? Si ragionerebbe allo stesso modo se si trattasse di verificare le regole della matematica o della lingua italiana? Se insegnare efficacemente la storia del Novecento dovesse significare portare i ragazzini a vedere Auschwitz, la scuola si impegni a farlo, o quanto meno a mostrare qualche crudo documentario su fascismo, nazismo e Shoah. A che cosa servono i temini fatti svolgere sui poveri ebrei vittime del nazifascismo se poi i ragazzini (e le loro famiglie) si salutano col braccio teso?
Il caso della scuola di Venezia, come stiamo vedendo in questi giorni, non è affatto isolato. L’antisemitismo e la nostalgia per i fasti del ventennio stanno ritornando prepotentemente di moda. La Memoria e il modo di imporla agli altri va forse rivisitato o rifondato.

Dario Calimani