L’audizione della ministra Cartabia
“Contro odio e antisemitismo
rafforziamo la giustizia riparativa”

È iniziata dal ricordo della recente visita al Memoriale della Shoah di Milano in compagnia di Liliana Segre l’audizione della ministra della Giustizia Marta Cartabia, ascoltata nell’ambito dei lavori della Commissione straordinaria per il contrasto “dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza” nata su impulso della senatrice a vita.
“Abbiamo insieme a lungo dialogato sul senso della giustizia, proprio nel luogo della massima ingiustizia”, le parole che hanno contraddistinto la prima parte del suo intervento. Per la ministra “una delle giornate più intense di quest’anno di servizio” e un’esperienza “che dovrebbe essere proposta a tutti i ragazzi nelle scuole per fare memoria e per riflettere”. Riflettere a partire “da quell’imponente scritta che ci accoglie al binario 21: indifferenza”.
Quattro i punti sollevati nella relazione di Cartabia. Il primo dei quali è stato l’evidenziazione della gravità del fenomeno, con riferimento anche ad alcuni episodi di cronaca che hanno suscitato allarme e sgomento. La ministra è passata poi a tratteggiare il quadro del diritto e a illustrare le riforme in fase di elaborazione, ha poi offerto qualche dato sull’applicazione delle norme italiane in materia di reati d’odio e ha poi concluso sulla pluralità degli strumenti da mettere in campo. Non solo sanzione penale, ha sottolineato, ma anche cultura, educazione e giustizia riparativa.
“Non si tratta di uno ‘strumento di clemenza’, né esprime un ‘pensiero debole’. Al contrario, è una giustizia che si fa carico della possibilità di domare la rabbia della violenza e di ricostruire legami, spezzati dal reato”, il suo pensiero. “Al centro della giustizia riparativa, che costituisce una parte importante della legge delega sul processo penale approvata negli scorsi mesi in Parlamento, c’è sempre un incontro: l’incontro tra l’autore del reato e la vittima”. Secondo Cartabia “portare l’autore di un crimine, specie di un crimine d’odio, a ‘toccare’ le conseguenze del suo gesto guardando in faccia la sua vittima, significa chiedergli di assumersi tutte le sue responsabilità ma anche gettare un seme perché non torni a ripeterlo”. Tutto questo, ha affermato, “vale ancor più nel caso dei minori”.