“Pechino, i Giochi della vergogna
il mondo ebraico si faccia sentire di più”
Ogni giorno che passa il tema umanitario che ha contraddistinto la vigilia delle Olimpiadi invernali di Pechino scivola nell’irrilevanza. Degli uiguri e della loro sorte non si parla ormai che per accidente, quasi una distrazione casuale tra una gara e l’altra. Con soddisfazione delle autorità cinesi che hanno avuto la faccia tosta di negare quel che sta accadendo nel modo più subdolo: “servendosi” cioè di un’atleta espressione di quell’identità per accendere la torcia olimpica in occasione della cerimonia inaugurale dei Giochi. Una foglia di fico, un pugno in faccia alla decenza in diretta mondiale. Non molte le voci che si sono levate in segno di protesta.
“Siamo troppo pochi” denuncia Elisha Wiesel, il figlio del Premio Nobel per la Pace Elie. Già animatore di una mobilitazione interna al mondo ebraico che molto risalto mediatico ha avuto negli scorsi giorni, Wiesel jr firma un editoriale per Jewish Telegraphic Agency per denunciare l’ipocrisia che continua ad avvolgere la manifestazione fuori dal suo contorno agonistico. “Se penso a mio padre, il mio senso di vergogna per queste Olimpiadi non può che acuirsi”, il suo atto d’accusa. “La maggior parte del mondo – scrive infatti – sembra non sapere o preoccuparsi del fatto che un Paese che organizza uno spettacolo che si richiama a valori quale ‘pace’ e ‘amicizia’ terrorizzi e sistematicamente opprima gli uiguri, una comunità musulmana che vive nel Nord-Ovest della Cina. Non è la Shoah. Ma questo genere lo conosciamo comunque”.
Wiesel racconta di essersi confrontato con “la dolorosa testimonianza dei dissidenti uiguri, che riescono a spargere la voce su quel che sta accadendo nonostante un giro di vite mediatico che rende quasi impossibile per la stampa occidentale riferire sui fatti”. Campi di internamento, sterilizzazioni forzate, famiglie separate e minacciate. Uno scenario molto più che angosciante ma nonostante ciò, “proprio come nel 1936, il Comitato Olimpico non è intenzionato ad andare a fondo”. E, aggiunge Wiesel con rammarico, “il nostro stesso mondo è perlopiù silente”. Nell’articolo si riconosce come organizzazioni ebraiche di varia matrice abbiano parlato a favore degli uiguri. Ma, si legge, “non è abbastanza”.