Una piramide rovesciata

A cavallo tra il 1944 e il 1945 l’attività musicale e teatrale nei Campi di prigionia militare tedeschi aumentò in modo considerevole, parallelamente a un alleggerimento delle restrizioni nei riguardi dei prigionieri di guerra e all’andamento della Guerra, irreversibilmente fallimentare per il Reich; al contrario, la pesante situazione umanitaria nei Campi di concentramento per civili – catastrofica in quelli di sterminio – segnò un drastico rallentamento delle performance musicali, anche se nel dicembre 1944 a Birkenau si respirava un clima surreale di “sospensione” e il ragguardevole numero di canti corali prodotti durante quel periodo nel Lager stanno a testimoniarlo.
Nell’ottobre 1944 presso lo Stalag 310 Wietzendorf gli Internati Militari Italiani bandirono un concorso di canto corale, vera e propria Sanremo ante litteram con tanto di presentatore e punteggio; non risultano brani creati ex novo ma il concorso canoro fu vinto da un coro di Internati Militari trentini con la loro esecuzione dei canti tradizionali La Smortina e Monte Canino.
Il 27 maggio 1945 presso il Displaced Person Camp di St. Ottilien si tenne un meeting di ex deportati ebrei ospitati presso i DP Camps del territorio; in tale occasione, membri della vecchia orchestra del Ghetto di Kovno si esibirono in concerto, canti impregnati di intramontabile melos yiddish quali Zingt un Tantst in Ridelekh o anche Vos Darf Ikh Hobn Mer? e Baym Geto Toyerl risuonavano in quello che sino a poche settimane prima era stata la Germania del Terzo Reich.
Nel 1946 molti di questi canti furono registrati a Monaco per la Central Jewish Historical Commission senza alcuna menzione degli esecutori sia nel materiale fonografico che in quello cartaceo; molti di essi saranno pubblicati nella antologia Lider fun di getos un lagern di Shmerke Kaczerginsky.
Nel periodo immediatamente successivo alla Guerra civili, prigionieri di guerra, Internati Militari Italiani fraternizzarono nei DP Camps sotto il comune denominatore della musica; l’attività ricreativa e di aggregazione sociale più diffusa tra ex deportati e truppe Alleate dopo la liberazione – in attesa dell’espletamento delle procedure per il rimpatrio – fu quella concertistica.
La moderna canzone satirica italiana, madre di quella oggi usata dal comico genovese Maurizio Crozza, nacque nel 1944 presso il confino di Ventotene nella mente di Manlio Rossi-Doria che scriveva parodie musicali antifasciste; il 6 novembre1943 il saggista antifascista italiano Franco Antonicelli fu trasferito presso il carcere romano Regina Coeli, ivi creò gli Stornelli di Regina Coeli – altresì chiamati Un giorno Mussolini andò al balcone – sull’aria popolare romana Sor Capanna.
Il Campo funse da incubatore di progetti compositivi molto complessi che per alcuni musicisti si protrassero sino a dopo la liberazione; è il caso de La Lettera Scarlatta di Berto Boccosi approntata nel Campo di prigionia francese di Saïda, Thème et Variations per pianoforte abbozzata nell’Oflag XA Nienburg am Weser da Émile Goué, Symphony n.1 op.6 e Psalm 127 op.32 scritti dall’ebreo tedesco Felix Werder presso il Campo di internamento australiano di Tatura nonché stesi in partitura e revisionati dopo la Guerra, il Concert op.19 per flauto e orchestra di Marius Flothuis, concepito nel 1944 a Kamp Vught e completato ad Amsterdam dopo la liberazione.
Cosa spinse il poeta e scrittore polacco Tadeusz Borowski, sopravvissuto ad Auschwitz, Natzweiler-Struthof e Dachau (si suicidò nel suo appartamento di Varsavia il 1° giugno 1951), a scrivere nel suo libro Il mondo di pietra che Auschwitz non fu un “infelice incidente di percorso nella Storia dell’Umanità” bensì la “quintessenza dell’Umanità, non un’eccezione ma la regola”?
Una risposta fatta di parole è estremamente difficile e al di sopra delle umane possibilità; dinanzi a un simile quesito si aprono due dimensioni, l’una fatta di silenzio capace di pietrificare il mondo, l’anima e congelare il tempo ibernandolo come un mammuth nel suo stesso dolore.
L’altra è la musica, capace di attraversare lo spazio-tempo; non quello confusamente percepito sul piano terrestre ma quello pentadimensionale, il tesseratto (nell’immagine) che ammiriamo nel film Interstellar (Christopher Nolan, 2014) nel quale ogni attimo è quantificabile nella sola unità di misura universale ossia l’amore, dove “il passato è un canyon da varcare e il futuro una montagna da scalare”.
Il musicista intuì precocemente il pericolo esistenziale del Lager; con grande sforzo dell’intelletto e del cuore, rovesciò la massiccia piramide dei valori ponendo in cima la base, ossia il genere umano.
Il mondo futuro è una piramide rovesciata sulla quale gli uomini prediligono far musica insieme.

Francesco Lotoro

(9 febbraio 2022)