Esodi

Un post di un’associazione scout laica triestina ricordava in questi giorni il “magazzino 18” del vecchio porto di Trieste dove furono ammassati centinaia di oggetti degli esuli dell’Istria e della Dalmazia, come sedie, mobili, valigie e giocattoli. “Umanità che ha abbandonato la propria casa perché costretta dall’intolleranza e dalla violenza di chi riteneva di avere il diritto di decidere della loro vita”. Più avanti nello stesso testo viene ricordato come tutt’oggi situazioni analoghe ritornano davanti ai nostri occhi, spesso accolte con la medesima indifferenza. Appartengono ad altri esodi e “ad altra sofferenza, quella dei profughi afghani, siriani, e dei migranti africani”.
Probabilmente ad alcuni promotori del “Giorno del Ricordo” non piacerà che in un post sull’esodo giuliano-dalmata si faccia riferimento anche ai profughi contemporanei del Sud del mondo. “Ogni dramma ha la sua unicità e non può essere messo in comparazione” come ha scritto in una nota il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Eppure ogni esodo ha come conseguenza la perdita della propria casa, la rottura dei legami amicali e familiari, o il timore di non essere ben accolti nel paese dove si approderà. Per quanto diversi nei numeri e nelle modalità, il Novecento nella ridefinizione dei confini degli stati nazionali è stato scandito da più esodi e espulsioni. Quelli odierni hanno il più delle volte ragioni diverse da quelle nazionali ma gli effetti sugli esodati restano in parte gli stessi, nell’affrontare la questione non dovrebbe mancare un sentimento universalista.
Strano al contrario che spesso chi parla di esodi come quello giuliano-dalmata ha come finalità recondita quella di rispolverare nazionalismi, luoghi irridenti, e vecchi confini. Gli esodi in realtà dovrebbero ricordarci proprio la tragedia portata da quelle stesse istanze nazionalistiche. Le quali avevano in programma la creazione di territori con un’unica nazionalità omogenea raggiungibile con l’espulsione o l’assimilazione delle nazionalità restanti, finendo per cancellare così i precedenti contesti multiculturali e plurilinguistici. La tragedia dunque non è soltanto italiana, ma col passare degli anni sembra sempre più difficile ricordarlo.

Francesco Moises Bassano