Occupazione
e contrapposizioni fittizie

Non è facile per noi insegnanti decidere come comportarci di fronte alle proteste studentesche, a maggior ragione quando gli studenti occupano la scuola (o, come nel mio caso, una sua parte): molti docenti hanno un atteggiamento di rigido rifiuto, danno per scontato che sia tutto solo un pretesto per saltare le lezioni (anche quando tra i ragazzi che protestano ci sono i più bravi della classe) e insistono sul fatto che l’occupazione è illegale; mi mordo la lingua per non rispondere che se ottant’anni fa tutti avessero rispettato la legge io non sarei mai nata: in effetti sarebbe un paragone assurdo dato che oggi siamo in democrazia; meglio citare (come faccio anche con i ragazzi) altri esempi di lotte studentesche nella storia, tutte almeno in parte illegali, tutte guidate sostanzialmente da minoranze, ma di cui oggi si riconoscono l’importanza e i meriti.
Difficile dar torto agli studenti quando protestano contro la seconda prova dell’Esame di Stato. Annunciata con poco anticipo e contro ogni previsione, questa prova dovrebbe essere elaborata dalle singole commissioni d’esame: chi durante la pandemia ha lavorato poco avrà una prova facile, chi ha lavorato molto avrà una prova difficile ma poi alla fine il valore legale del voto sarà ovviamente lo stesso per tutti e avrà lo stesso peso in eventuali concorsi e graduatorie. Paradossalmente chi avrà studiato di più sarà penalizzato: non è molto tranquillizzante pensare a una futura classe dirigente selezionata con questo criterio.
Purtroppo non tutte le richieste degli studenti sono altrettanto condivisibili. In particolare suscitano perplessità quando sembrano voler fare degli insegnanti il capro espiatorio di tutte le loro recriminazioni: nel manifesto dell’occupazione redatto dagli studenti della mia scuola i docenti sono descritti come incapaci, che usano metodi antiquati, poco trasparenti e poco empatici, che non tengono conto dei disagi psicologici derivanti da due anni di pandemia (come se invece gli insegnanti avessero trascorso il biennio tra viaggi, feste e divertimenti). Si arriva addirittura a chiedere che sia lecito agli studenti denunciare alla Presidenza anche in forma anonima gli eventi che “ritengono offensivi o lesivi nei confronti del loro benessere psicologico”. Una prospettiva inquietante.
Sarà possibile affrontare seriamente i problemi della scuola solo quando docenti e studenti metteranno da parte le contrapposizioni fittizie e impareranno a riconoscersi come alleati e non come nemici.

Anna Segre