“Laicità e mondo dell’informazione,
minoranze siano protagoniste”

Il 17 febbraio e il 29 marzo 1848 sembrano momenti lontani della nostra storia. Eppure le date in cui valdesi ed ebrei conquistarono pieni diritti civili nel regno dei Savoia parlano ancora al nostro presente e al nostro futuro. Sono l’occasione per ricordare il significato di vivere in uno Stato che tutela le proprie minoranze, che garantisce la laicità delle sue istituzioni e per fare il punto su cosa si è fatto per mantenere queste garanzie. Ma anche per ricordare alle minoranze il valore della propria presenza nella società e il significato di esserne protagoniste, di raccontarsi, di dare il proprio contributo. Un doppio tema che ha fatto da spunto all’incontro “Laicità (s)comunicata?”, organizzato a Torino dall’associazione ArticoloZero, coordinamento per la laicità. Un primo confronto parte del programma della Settimana della libertà, dedicata a ricordare la svolta del 1848, che ha visto protagonista il mondo dell’informazione. A discutere di laicità e stampa sono stati chiamati giornalisti di diverse testate, tra cui il direttore della redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale e Gian Mario Gillio, responsabile comunicazione per la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.
“Dal 1848 la Chiesa valdese e la Comunità ebraica hanno tratto una lezione importante: la consapevolezza di dover lottare perché i diritti civili riconosciuti fossero diritti di tutti e di tutte, di lottare per la laicità”, ha sottolineato in apertura Patrizia Mathieu, presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Torino che assieme alla Comunità ebraica della città ha dato il proprio patrocinio all’iniziativa. Mathieu ha definito la laicità come “il terreno comune in cui nessuno viene privato di nulla e viene solo arricchito dalla presenza del pensiero, dei convincimenti, della fede degli altri e delle altre che vivono dove vive lui”. Un arricchimento di cui le minoranze devono sentirsi responsabili, partecipando al dibattito con la propria voce e i propri valori. E questo vuole fare l’ampio programma della “Settimana della libertà”, ha aggiunto il presidente della Comunità ebraica torinese Dario Disegni. “L’agenda di incontri supera la settimana e arriva al 29 marzo. – ha evidenziato Disegni – Quest’anno abbiamo voluto mettere al centro attraverso la laicità una riflessione sui temi della libertà individuale e della responsabilità collettiva, un rapporto emerso con grande forza durante questo periodo pandemico”. La logica di questo confronto aperto alla società, ha rilevato, è quello di due comunità, ebraica e valdese, “che partono da sé per parlare a tutti di problemi universali”.
Dopo i saluti dell’assessore ai Diritti del Comune di Torino Jacopo Rosatelli, si è entrati nel vivo del confronto, moderato dalla giornalista Stefania Aoi. In particolare Maria Teresa Martinengo, segretaria dell’Ordine dei Giornalisti Piemonte, si è soffermata sugli anni passati a raccontare a Torino delle diverse comunità di minoranza. “Ci sono state molto esperienze di dialogo positivo in città. Penso ad esempio al comitato interfedi costituitosi nel 2006. E nel corso del mio lavoro ho sempre trovato grande collaborazione da parte di tutti, dai valdesi, alla comunità ebraica così come con i musulmani, che però non sono altrettanto strutturati”. Sulla questione della responsabilità dei giornalisti si è soffermata invece Simona De Ciero del Corriere della Sera. “In tema di laicità la nostra responsabilità è molteplice, sia perché dobbiamo raccontare sia perché dobbiamo rimanere il più neutrali possibile” dall’oggetto del racconto. Elementi, ha evidenziato De Ciero, che dipendono da diverse variabili, tra cui la libertà garantita ai singoli giornalisti di lavorare senza condizionamenti. Fondamentale a riguardo, la valutazione di De Ciero, la presenza di una redazione strutturata alle spalle. Un elemento, quello della professionalità sul versante dell’informazione, richiamato anche dal direttore Vitale. “La sfida di un giornalista professionista che opera nel campo di una realtà identitaria o religiosa di minoranza non è produrre informazione confessionale o settoriale, ma produrre stampa che sia destinata all’intera società italiana. Questo perché pensiamo che dalle minoranze possano venire voci considerate preziose e necessarie per tutti”. La sfida è credere nell’importanza che nel mercato editoriale via sia il punto di vista delle minoranze. “Dall’altra parte è importante far comprendere a chi governa le nostre istituzioni, ebraiche, valdesi e così via, che svolgere il ruolo di editore significa assumersi un’altissima responsabilità sociale, rappresenta un grande onore di cui essere orgogliosi da portare avanti, se possibile, con i dovuti investimenti”. Investimenti volti a realizzare sia giornali realizzati con professionalità, “ma soprattutto a formare giovani giornalisti professionisti che vogliano fare informazione in campo comunitario”. “Io sono orgoglioso – ha concluso Vitale – di lavorare in una redazione dove lavorano esclusivamente giornalisti professionisti contrattualizzati con il contratto di lavoro giornalistico”.
Verso l’esterno poi molto lavoro si può fare per la formazione dei giornalisti, campo in cui la redazione UCEI ha avviato diverse iniziative, ed elemento sulla cui importanza si è soffermato Gian Mario Gillio. “La formazione dei giornalisti che lavorano nella stampa generalista è assolutamente fondamentale”. In particolare alla luce del paese in cui viviamo, “fortemente caratterizzato nella presenza cattolica. Non possiamo non far presente questo dato importante. Non a caso l’Italia è l’unico paese che ha come informatori religiosi dei vaticanisti, cioè coloro che si occupano essenzialmente di Vaticano”. L’informazione, ha evidenziato Gillio, è quindi molto concentrata sull’impronta cattolica, mentre “ il panorama multiculturale e multireligioso del nostro paese nell’informazione viene direi relegato ai margini. Questo è un problema che dovrebbe essere superato” anche alla luce della tutela della laicità dello Stato. E su questo punto, sul rispetto del pluralismo all’interno del mondo dell’informazione, è intervenuto in conclusione il giurista Sergio Foà dell’Università di Torino. “Mentre c’è una par condicio garantita sulle questioni politiche, è evidente che non esiste per le questioni religiose. – ha sottolineato Foà – L’asimmetria era stata già segnalata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”. L’Agcom, ha spiegato Foà, aveva richiesto che fosse rispettata la completezza dell’informazione, dando spazio alle diverse confessioni religiose, oltre a quella cattolica. “A fronte di una società che cambia, di un’influenza della Chiesa che si modifica, c’è spazio anche giuridico per lavorare su questo elemento”.