“Kiev è Europa, l’Occidente
ci resti al fianco”

“Per il momento il pericolo più grave sembra sventato. Ma non escludo, anzi sono certa, che altre insidie non tarderanno a ripresentarsi. E molto prima di quanto si sia portati a immaginare. O almeno di quanto si immagina, in genere, nell’opinione pubblica occidentale”.
Oxana Pachlovska, docente di Ucrainistica all’Università Sapienza, risponde da Kiev. Ha lasciato Roma nei giorni più drammatici della crisi, quando un conflitto sembrava inevitabile. “Non ci ho pensato più di tanto, anche perché mia madre vive qui. Mi è sembrato doveroso starle accanto”. Presto tornerà in Italia. Per il momento il suo lavoro prosegue a distanza, tra esami ed esoneri. La normale routine universitaria. Di “normale” invece, attorno a sé, vede poco.
“Temo molto una stagione politica all’insegna di un populismo che potrebbe portarci nel baratro” sospira la professoressa Pachlovska, che tra i vari temi è esperta di Shoah e relazioni ebraico-ucraine anche al tempo dell’Holodomor, la grande carestia dei primi anni Trenta che fece milioni di morti e che Kiev qualifica come un vero e proprio “genocidio” di matrice sovietica.
Della crisi attuale evidenzia un solo fattore positivo: il fatto che “l’Occidente, finalmente, sembra aver capito che difendendo l’Ucraina difende un pezzo di sé e non qualcosa di estraneo alla sua identità: un passo avanti che definirei di proporzione tettonica”. C’è grande voglia di Europa nelle strade della Capitale, sostiene Pachlovska. “Molti ucraini si vedono come degli europei, ragionano come europei, agiscono come europei. Questo la Russia non vuole accettarlo in alcun modo. Pertanto, temo, non smetterà di cercare di imporsi con una prova di forza”. Un tentativo “a tratti isterico, senza nessuna logica”. E quindi, anche per questo, “ancora più pericoloso: ci attendono scenari brutti, anche se non semplici da determinare nei loro effetti”.
La reazione è stata forte, anche all’interno del mondo ebraico. “Se la situazione prenderà una brutta piega, servirà tutto l’aiuto necessario e noi faremo in modo di garantirlo”, ha detto tra gli altri il rabbino capo d’Ucraina rav Yaakov Bleich in una intervista con Pagine Ebraiche. “Ho molto apprezzato le sue parole, la sua presa di posizione. Tutte le identità religiose e minoranze si sono strette in questi giorni di angoscia, facendo fronte comune davanti alla minaccia. Tutte – sottolinea la professoressa – tranne una: il patriarcato di Mosca”.
Populismo in ascesa vuol dire, tra le tante conseguenze nel breve e lungo termine, anche la possibilità di un aumento esponenziale dell’antisemitismo. Un problema non nuovo per l’Ucraina, tragicamente segnata dalle vicende della persecuzione nazista e dalla pagina nera del collaborazionismo che raggiunse, più volte, picchi terrificanti.
Ebreo è l’attuale presidente Zelens’kyj, impostosi con un plebiscitario 73% di preferenze. Ed ebreo è l’ex primo ministro Grojsman. “Il vasto consenso che ha portato all’elezione di Zelens’kyj – sostiene – ha mostrato che il problema dell’antisemitismo è archiviato. Ma il populismo, purtroppo, rischia di alimentarlo ancora. Il populismo è uno dei tanti problemi che affliggono il Paese, come quello della corruzione e di una classe dirigente non all’altezza colpevole appunto di tante azioni populistiche e poco trasparenti. È un momento molto difficile, un momento di trasformazione”. La speranza, conclude Pachlovska, “è che la società civile continui a maturare e che l’Europa mantenga la sua coesione nei confronti dell’Ucraina”.
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(17 febbraio 2022)