Zweig, testimone della barbarie
Esattamente ottant’anni fa, il 22 febbraio 1942, Stefan Zweig si suicidò insieme alla moglie nell’esilio brasiliano in cui viveva. Era stato nella nativa Austria uno scrittore di grande successo, autore di biografie importanti, poesie, drammi, novelle. Ebreo, europeo, cosmopolita, assistette al disastro della prima guerra mondiale e visse poi fino al 1933 immerso nella grande cultura tedesca dell’Europa tra le due guerre. Nel 1933 i suoi libri furono bruciati in piazza dai nazisti insieme a quelli di tutta l’intelligentia del tempo, da Freud ad Einstein a Thomas Mann, ebraica o no, purché giudicata espressione dell’odiato giudaismo. Cominciò l’esilio, dapprima in Europa, poi, dal 1941 nelle Americhe, New York e poi il Brasile. Nello stesso 1941 terminò la sua straordinaria autobiografia, Il mondo di ieri, ricordi di un europeo, libro indimenticabile in cui la pittura del mondo mitteleuropeo degli anni precedenti la prima guerra mondiale si unisce a quella del decennio dell’esplosione culturale ebraica e poi alla sua distruzione. Il libro termina con l’attacco nazista alla Polonia nel 1939.
«Nel periodo prebellico, scriveva nell’introduzione, ho conosciuto il grado e la forma più alta della libertà individuale, per vederla poi al più basso livello cui sia scesa da secoli… Tutti i cavalli dell’Apocalisse hanno fatto irruzione nella mia vita, carestie e rivolte, inflazione e terrore, epidemie e emigrazione; ho visto crescere e diffondersi sotto i miei occhi le grandi ideologie delle masse, il bolscevismo in Russia, il fascismo in Italia, il nazionalsocialismo in Germania, e anzitutto la peste peggiore, il nazionalismo che ha avvelenato la fioritura della nostra cultura europea. Inerme e impotente, dovetti essere testimone dell’inconcepibile ricaduta dell’umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata».
Anna Foa, storica
(21 febbraio 2022)