Nel cuore dell’Europa
Sarà la guerra, dunque? Le speranze di salvare la pace, affidate agli ultimi disperati sforzi delle diplomazie internazionali, sembrano inesorabilmente infrangersi contro la volontà di espansione e di dominio regionale della Russia di Putin. Da un lato l’esigenza di sicurezza e democrazia reale di una Ucraina che vuole sconfiggere, attraverso la piena occidentalizzazione, i fantasmi del ritorno a un’egemonia sovietica in altra veste, accanto al bisogno della Nato di rafforzarsi sul confine con un colosso militare tutt’oggi nemico nonostante la ormai datata morte del comunismo; dall’altro le aspirazioni imperialiste di un leader e di uno Stato che continua a coltivare ambizioni da grande potenza mondiale. Il rischio di trovarci di nuovo una guerra di vaste proporzioni nel pieno dell’Europa si fa di giorno in giorno più tangibile.
Accantonando l’analisi politica e militare del fronte ucraino-russo (sempre difficile e aleatoria in un contesto soggetto a rapidi cambiamenti d’orizzonte), che cosa significherebbe una guerra europea ai nostri giorni? Quali sensazioni, quali sentimenti, quali pensieri provoca l’idea che una situazione da vari decenni ritenuta archiviata nel passato grazie alla realizzazione e alla forza crescente dell’Unione Europea possa invece materializzarsi in poco tempo portando di nuovo eserciti, carri armati, caccia e bombardieri nelle pianure del nostro continente, pronti a sconvolgere la vita delle città e dei loro abitanti? Innanzitutto una frustrazione globale e un senso di impotenza collettivo. Non avevamo detto “mai più”, non avevamo affermato che l’Europa sarebbe divenuta il soggetto unitario e insieme molteplice di una nuova vita di pace, di democrazia e di sviluppo? Nonostante gli innegabili passi avanti della UE sulla via dell’unità economica e politica, una guerra tra Russia e Ucraina o – Dio non voglia – tra Russia e Nato costituirebbe una sconfitta secca per l’Unione, un brusco radicale ritorno alle contrapposizioni frontali della guerra fredda. Con la non trascurabile differenza che la guerra fredda fu appunto “fredda”, non davvero combattuta, e che fu anzi utile, con il suo equilibrio del terrore, a salvare la pace (o almeno l’assenza di una guerra totale) nel mondo. La sconfitta sarebbe però generale, non certo solo europea: USA e Russia, i due veri principali e vecchi contendenti, in caso di conflitto perderebbero entrambi in termini di forza e di credibilità politica. E anche la Cina di Xi Jinping, convinta alleata di Putin, non guadagnerebbe certo autorevolezza politica internazionale.
Soprattutto, con la guerra di nuovo in Europa a settantasette anni dalla fine del secondo catastrofico conflitto mondiale e a trenta anni dall’ inizio della tragica disgregazione della Yugoslavia, sarebbero i valori di civiltà e di convivenza affermatisi dopo la sconfitta del nazi-fascismo e consolidati dalla realizzazione del progetto europeista a subire uno scacco micidiale se non mortale. O meglio, non sarebbero i valori in sé a essere distrutti o messi fortemente in dubbio, bensì la loro efficacia, la loro capacità di affermarsi, di costruire un modello generale in grado di estendersi, di resistere alla violenza delle armi e della sopraffazione. E poiché si tratta di valori universali, dei valori centrali di quella civiltà occidentale che consideriamo il nostro punto di riferimento, il danno sarebbe esiziale. Anche nella prospettiva e nell’ottica particolari della condizione ebraica, guerra e distruzione che sembrano affacciarsi sull’Europa orientale e nello specifico in Ucraina evocano catastrofici scenari di morte che volevamo e credevamo confinati per sempre nel passato.
Davanti agli impetuosi venti di guerra di questi giorni, l’Europa sembra bruscamente risvegliarsi da un lungo sonno, durante il quale s’è illusa che il conflitto armato fosse un rischio per lei superato o comunque lontano, diffuso solo in remote e poco sviluppate regioni dell’Africa e dell’Asia. E invece eccola qui alle porte di casa, la guerra che non ti aspetti e che rischia di travolgerti.
David Sorani