La guerra dentro Kiev

Sarebbero almeno 64 le vittime civili dall’inizio dell’attacco russo all’Ucraina: è quanto riferiscono le Nazioni Unite nel loro ultimo rapporto. La guerra è ormai dentro Kiev, con ministeri presi d’assalto e un’eroica resistenza della popolazione locale che non intende cedere. All’Ucraina la solidarietà dell’Occidente, Italia compresa, oltre ad aiuti di natura anche militare. “L’inizio di una nuova pagina nella storia dei nostri Stati”, ha scritto su Twitter il presidente ucraino Zelensky. Per una possibile mediazione si guarda invece a Israele, che ha buoni rapporti sia con Mosca che con Kiev. “Per Bennett – spiega il Corriere – i russi restano ‘i nostri vicini a nord’, oltre le alture del Golan, e allo stesso tempo è consapevole di poter avere un ruolo: dopo la caduta dell’Unione Sovietica gli ebrei sono immigrati in Israele a centinaia di migliaia”. Al punto che, si riferisce, “l’ambasciata ucraina a Tel Aviv ha lanciato un appello ai giovani di seconda generazione che hanno servito nell’esercito israeliano: andate a proteggere Kiev”. Tra le voci ascoltate da Repubblica c’è quella dello scrittore Ilya Kaminsky, di origine ebraico-ucraina e residente dal 1993 negli Usa. “Come rifugiato – le sue parole – la mia esistenza è stata tranciata a metà dalla Storia. Parte di me è ancora a Odessa, vive nella città fantasma che ho abbandonato anni fa. Ora questa sorte toccherà anche ad altri. Quando il mondo ritroverà equilibrio, tutti avremo perso qualcosa”. Secondo Leon Panetta, l’ex capo della Cia, il modo più efficace per affrontare le autocrazie, che si tratti della Russia, della Cina, della Corea del Nord o dell’Iran, è “la capacità di sviluppare una forte alleanza di Paesi che possano rendere chiaro l’intento di lavorare insieme per garantire la protezione di valori che riteniamo importanti per la democrazia” (L’Espresso).

Ieri è stato un giorno di mobilitazione generale. “Non era scontato che, dopo due anni di pandemia, gli italiani scendessero in piazza per urlare la loro voglia di pace. E invece lo hanno fatto in decine di migliaia, nelle grandi città e nei piccoli centri”, sottolinea La Stampa. A Firenze sindaci e vescovi del Mediterraneo riuniti nella grande conferenza che si concluderà oggi alla presenza del Capo dello Stato Mattarella hanno chiesto un ritorno ai negoziati. Una mobilitazione inedita, cui hanno preso parte “primi cittadini e prelati da Atene a Istanbul, da Sarajevo a Gerusalemme a Palermo” (Repubblica). Tra i protagonisti il sindaco della Capitale d’Israele Moshe Lion, che ad Avvenire dice: “Come sindaco ho questa ben preciso obiettivo: essere essere attento a tutte le religioni, inclusi i cristiani”.

Il primo marzo saranno trent’anni dall’assedio di Sarajevo. La composizione della città un tempo nota come Gerusalemme d’Europa da allora è significativamente mutata, scrive L’Espresso: “È rimasto un quarto dei serbi che la abitavano prima della guerra, la metà dei croati, se ne sono andati ebrei e rom”.

Il Corriere parla di Auschwitz non finisce mai, il nuovo libro del presidente di Gariwo Gabriele Nissim. Alla base, si legge, “il rifiuto di rinchiudere in un ghetto la memoria della Shoah”. Sul domenicale del Sole 24 Ore Piero Trellini anticipa alcuni temi dal suo L’affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus. Mentre David Bidussa racconta Le ferite della Francia di Giorgia Alessi, incentrato su “ossessioni identitarie, radicalismo islamico, rivolte sociali” d’Oltralpe. E in un altro articolo si presenta la riedizione del libro di Gaetano Salvemini su Mazzini, curata da Simon Levis Sullam.

“Odiare non fa bene a nessuno. Né a chi riceve odio né a chi lo dà”. Così l’ebrea fiumana Lea Polgar, ospite negli scorsi giorni dei giovani della Comunità di Sant’Egidio. Su Avvenire una cronaca dell’incontro.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(27 febbraio 2022)