Azzariti, storia di un camaleonte

Da presidente del Tribunale della razza nell’Italia fascista a presidente della Corte costituzionale nell’Italia repubblicana. È la sconcertante e al tempo stesso istruttiva parabola di Gaetano Azzariti (1881-1961). A ricostruire la vita di questo “magistrato senza toga” che ha goduto a lungo di onori ed encomi trasversali è “In questi tempi di fervore e gloria” (ed. Bollati Boringhieri), l’ultimo libro del giurista Massimiliano Boni. Un libro nato proprio tra i corridoi un tempo frequentati da Azzariti visto che l’autore, che ha già al suo attivo vari saggi e romanzi, è uno stimato Consigliere della Corte. Quasi dieci anni di studio e ricerche messe a frutto dal giorno in cui una prima lampadina si è accesa davanti ad alcuni interrogativi. Perché la Corte, nonostante il suo passato, continuava a perpetuarne il ricordo attraverso un busto? Come era possibile un simile sfregio alla Storia?
Interrogativi su cui ci si soffermerà in occasione di una nuova presentazione dell’opera, in programma mercoledì 2 marzo alle 20.30 al Centro Ebraico Il Pitigliani. Insieme all’autore, che è anche Consigliere di UCEI e Comunità ebraica romana, le storiche Anna Foa e Annalisa Capristo, la presidente di ANAI Micaela Procaccia e l’avvocato Davide Jona Falco. L’iniziativa ha il sostegno dell’Associazione italiana Avvocati e Giuristi Ebrei.
L’Italia giolittiana, quella fascista, e infine quella repubblicana. Tre diverse epoche in cui Azzariti sempre si muoverà a favor di vento, passando con nonchalance dall’una all’altra. È il fascismo, nel 1922, a dargli la prima grande possibilità: quella di diventare capo dell’Ufficio legislativo. Un incarico che gli calzerà a pennello, nel segno di quel pragmatismo e di quella efficienza che sempre, in ogni ambito, gli saranno riconosciuti. Del resto, spiega Boni, il suo è l’identikit perfetto: “È un uomo maturo ma non della vecchia guardia, dai modi discreti, intelligente, malleabile ai cambiamenti in corso, con una profonda conoscenza del diritto e in grado di muoversi a proprio agio dentro l’apparato”. Ecco dunque arrivare la promozione a quell’ambito ufficio, e cioè “la fucina che fabbrica senza sosta i testi commissionati dal ministro e dal governo”. La figura, in sostanza, che traduce in norme di legge i desideri di Mussolini “fornendo quella patente di legalità a una serie di misure che erodono le fondamenta dello Stato liberale per sostituirle, pezzo dopo pezzo, con una dittatura”.
Il quarantenne Azzariti, già pupillo di Lodovico Mortara (Il figlio del rabbino oggetto di un’altra importante biografia per Viella), entra nella nuova e decisiva fase di una “carriera” che lo vedrà poi distinguersi anni dopo anche in quel famigerato Tribunale che fu uno degli elementi cardine dell’azione antisemita avviata nel segno dei provvedimenti razzisti del 1938 (la cui stesura aveva visto il contributo qualificato dello stesso Azzariti). Il passo decisivo, sottolinea Boni, verso la sua trasformazione in giurista militante del regime. Una vicenda in cui indelebili e alla luce del sole sono le sue responsabilità. Ciò non gli impedirà comunque di “riciclarsi” come se nulla fosse accaduto in precedenza, diventando ministro di Grazia e Giustizia nel governo Badoglio che a tante figure compromesse sotto il fascismo permise di cambiare casacca in attesa degli eventi e ancora, nel 1957, di essere proclamato giudice della Corte costituzionale e ancora, dall’anno successivo fino alla morte, presidente di quello stesso organismo. La quinta carica dello Stato. Uno scandalo che, allora, non smosse però l’indignazione di nessuno (o quasi). “Raccontare Azzariti – ha spiegato Boni – non è stato semplice. Perché per forza di cose, per parlarne, mi sono dovuto ‘avvicinare’ a questo personaggio e al suo mondo. Anche se la tentazione, per ovvi motivi, è stata piuttosto quella di allontanarmi”. Alcune metafore calzanti per descrivere chi si è trovato di fronte: “Se dovessi descrivere Azzariti indicando un animale direi che è stato un camaleonte. Se dovessi parlarne come di uno sportivo direi che è uno che partecipa alle Olimpiadi e vince sempre: vince nella magistratura, vince nella sua carriera al vertice dell’amministrazione, vince come numero uno della Corte costituzionale. Se fosse un marchingegno, infine, lo paragonerei a una macchina del tempo. Ma a doppia velocità”. Doppia perché attraverso Azzariti non si va in un’unica direzione, ma anche al suo esatto inverso. Leggerlo, rileggerlo, confrontarsi con quelle sue scelte disinvolte e il loro riverbero nell’attualità, ci permette infatti di capire non solo la storia passata d’Italia ma anche “chi siamo noi oggi”.

(Nelle immagini: la sala di riunione della Corte costituzionale; la copertina del libro su Azzariti; Massimiliano Boni)

Per partecipare: eventi@pitigliani.it