“Dietro la retorica di Putin, nazionalismo antisemita”
Vladimir Putin ha cercato di giustificare l’aggressione all’Ucraina parlando di una missione per “denazificare” il paese. Una bugia a cui la maggior parte del mondo non ha creduto. Gli ebrei d’Ucraina per primi, che hanno definito la Russia di Putin una grande fake news. E così le sue accuse a Kiev di essere antisemita, in mano a nazisti responsabili di un presunto genocidio ai danni della popolazione russofona.
Ora anche lo Yad Vashem è intervenuto per contrastare la retorica del Cremlino. Il Memoriale delle Shoah di Gerusalemme “condanna questa banalizzazione e distorsione dei fatti storici dell’Olocausto”, ha dichiarato il suo presidente Danny Dayan. La propaganda di Putin, ha proseguito Dayan, è “satura di dichiarazioni irresponsabili e paragoni completamente imprecisi con l’ideologia nazista e le azioni prima e durante la Shoah”.
Secondo il filosofo Jason Stanley, docente a Yale, rispetto al ruolo della Russia e all’estremismo di destra è necessario ribaltare il discorso. È Putin, spiega Stanley in un’intervista al New York Jewish Week, a rappresentarne oggi il baluardo. I suoi discorsi sui nazisti e presunti genocidi in cui si banalizza la Shoah rappresentano infatti una porta aperta all’antisemitismo e un pericolo per gli ebrei. “Il regime di Putin è un regime nazionalista cristiano, e il nazionalismo cristiano è una minaccia per gli ebrei ovunque. Non credo che stia cercando di convincere qualcuno. Penso piuttosto che stia cercando di deridere il linguaggio della Shoah”. Per Stanley questa retorica rappresenta “l’antisemitismo dell’Europa orientale” che “prende la forma nel dire che noi ebrei abbiamo rubato la narrazione del vittimismo”. Con questi discorsi il presidente russo “prende in giro gli ebrei”. La sua tesi, continua Stanley, è che “le vere vittime siano i russi cristiani in Ucraina orientale: quelle sono le vittime del genocidio, non il discendente di sopravvissuti alla Shoah, il leader ebreo dell’Ucraina”. Questo, spiega il filosofo, figlio a sua volta di sopravvissuti, è uno dei problemi principali: “Il nazionalismo cristiano è antisemita fino al midollo”.
In un articolo pubblicato dal Guardian, Stanley amplia la sua riflessione e traccia un parallelo con il fascismo. Quest’ultimo, scrive, è “un culto del leader, che promette la restaurazione nazionale di fronte a presunte umiliazioni commesse da minoranze etniche o religiose, da liberali, femministe, immigrati e omosessuali. Il leader fascista sostiene che la nazione è stata umiliata e la sua mascolinità minacciata da queste forze. Deve riconquistare la sua antica gloria (e spesso il suo antico territorio) con la violenza. Egli si offre come l’unico che può ripristinarla”. Ad essere indicati come primo agente nemico di questa restaurazione sono gli ebrei, sottolinea il filosofo. Sarebbero loro a utilizzare “gli strumenti della democrazia liberale, dell’umanesimo laico, del femminismo e dei diritti dei gay” per introdurre “decadenza, debolezza e impurità”. Contro gli ebrei si scaglia così il fascismo che giustifica la sua violenza “offrendo di proteggere una presunta identità pura religiosa e nazionale dalle forze del liberalismo. In occidente, il fascismo si presenta come il difensore della cristianità europea contro queste forze, così come la migrazione musulmana di massa. Il fascismo in occidente è quindi sempre più difficile da distinguere dal nazionalismo cristiano”. Ovvero da quello promosso da Putin, sostiene Stanley, che si autoindetifica come “leader globale del nazionalismo cristiano, ed è sempre più considerato tale dai nazionalisti cristiani di tutto il mondo”.
Una retorica applicata ora all’invasione dell’Ucraina. “Denazificare” in questo caso significa fare “appello ai miti dell’antisemitismo contemporaneo dell’Europa orientale. Ovvero che una cabala globale di ebrei erano (e sono) i veri agenti della violenza contro i cristiani russi e che le vere vittime dei nazisti non erano gli ebrei, ma piuttosto questo gruppo. I cristiani russi sono bersagli di una cospirazione di un’élite globale, che, usando il vocabolario della democrazia liberale e dei diritti umani, attacca la fede cristiana e la nazione russa. La propaganda di Putin non è rivolta ad un occidente ovviamente scettico, ma piuttosto si appella all’interno di questo ceppo del nazionalismo cristiano”, scrive Stanley.