Gergiev e i paralogismi dell’intellettuale

A me Valerij Gergiev non piace molto, ma si dice che sia un direttore d’orchestra (russo) molto bravo. A me, in verità, piace poco la sua gestualità un po’ leccata e il suo volto inespressivo, ma è questione di gusti, lo ammetto.
A Valerij Gergiev, sostenitore di Putin, è stato chiesto di condannare le recenti follie dell’amico satrapo, ma se n’è stato, a buon diritto, zitto e impassibile. I teatri del mondo non lo vogliono più e hanno disdetto i contratti con lui, secondo il principio che l’artista è anche uomo e in quanto tale deve parlare. Ci si doveva aspettare che i sostenitori del garantismo ideologico alzassero la voce per dire la loro protesta: colpire un artista in quanto russo è razzismo. Come dire che, se avessi detto ai poeti firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti che non mi andava di leggere più le loro poesie e di comprare i loro libri, io mi sarei dovuto considerare razzista, in quanto avrei discriminato certi poeti in quanto italiani. No, dico io, in quanto fascisti. Quindi qualche intellettuale di fama propone paralogismi, ma finge di non accorgersene.
Ho sempre ritenuto che non si debba dare l’ostracismo a un poeta – o a un compositore – in quanto antisemita. Lo si legge, lo si ascolta, lo si apprezza anche, ma non lo si frequenta nei salotti buoni. Lo penso per T.S. Eliot, lo penso per il grande W.B. Yeats, lo penso per il rozzo e sventurato cervello di Ezra Pound. Posso naturalmente evitare e condannare la loro poesia quando, ove accada, esprime contenuti antisemiti o razzisti. Ma un direttore d’orchestra non è un poeta o un compositore. Un direttore d’orchestra (che, come i poeti, ha un suo seguito di estimatori ammirati, pronti a farsene influenzare) è artista nel momento in cui incarna personalmente, fisicamente, la musica che interpreta. Il direttore d’orchestra è carnalmente uomo nell’espressione della sua arte. E questo fa la differenza.
Allora, bisogna scegliere se essere immorali condannando l’invasione dell’Ucraina e, di conseguenza tutti coloro che la sostengono, e magari farsi accusare di razzismo da qualche ideologo garantista, o essere immorali scegliendo di non condannare Gergiev (e simili) e prendendo posizioni scandalizzate sull’invasione dell’Ucraina.
Questo è uno dei casi in cui ragionare con gli intellettuali ti fa sentire profondamente ipocrita. Condanno l’invasione, ma anche gli ucraini hanno i loro torti. Condanno l’invasione, ma gli ucraini non devono essere armati perché così si favorisce la guerra, e io sono un pacifista.
Si discute nel Talmud del caso di due che si trovino nel deserto e dispongano di una sola razione d’acqua. Se se la dividessero morrebbero entrambi. Chi deve bere, allora? La persona che ha l’acqua o l’altra? Deve prevalere l’egoismo o altruismo? Il Talmud, con le sue domande, è fonte di saggezza. Forse le risposte hanno meno importanza di quanto possa sembrare. L’importante è interrogarsi, e interrogarsi con coscienza.
Viene sempre il momento in cui bisogna scegliere da che parte stare, anche a costo di trasgredire un piccolo principio in favore di un principio di maggior peso. E la scelta è sempre personale, e definisce il livello della tua coscienza. Anche e soprattutto nel momento dell’errore responsabile.
Anche l’intellettuale, quindi, può sbagliare, e se tu non sei d’accordo con lei cancella la tua contestazione dalla sua pagina di Facebook.

Dario Calimani