Metodo Sudeti
È una strategia politico-militare di vecchia data quella adottata dallo Zar Putin nei confronti dell’Ucraina e del mondo occidentale (Nato, USA, Unione Europea, Regno Unito). Forse non era nuova neppure nel 1938, quando la Germania nazista la usò per espandere il territorio tedesco ai danni della democratica Cecoslovacchia. Certo Hitler la impiegò allora con indiscutibile successo dovuto anche al beneplacito concesso da Gran Bretagna e Francia durante la Conferenza di Monaco il 29 settembre dello stesso anno, quando Chamberlain e Daladier illusero se stessi e il mondo di aver salvato la pace barattandola con la cessione di una regione, nei fatti di un intero Stato. Possiamo chiamarlo “metodo Sudeti”: una forte componente locale in un paese confinante e ambito, legata per etnia e lingua alla grande “nazione madre” in cerca di espansione; la creazione e il continuo incoraggiamento di movimenti autonomisti animati da un forte nazionalismo in funzione dell’annessione alla nazione madre di cui sopra; la pressante richiesta di indipendenza per questi territori; il ricatto politico e la minaccia di invasione; l’occupazione militare vera e propria seguita dall’annessione di fatto di quelle regioni, e anche dell’intero Stato di cui sono parte, alla sedicente “madrepatria”.
Comunque vada a finire questa inconcepibile guerra russa all’Ucraina – che Mosca si annetta Kiev o si limiti a “pacificarla” per renderla parte di un rinnovato impero, Putin ha di fatto agito come Hitler, usando nei confronti di un paese nettamente più debole (uno Stato sovrano e democratico) e nei confronti del consesso internazionale l’arma del ricatto. Ripiombate nell’incubo di una minaccia totalitaria in stile Novecento capace di spalancare le porte a un conflitto mondiale, le democrazie occidentali si affrettano in queste ore a usare parole di altisonante condanna e a promettere annichilenti sanzioni economiche e politiche nei confronti della Russia. Ma gli interessi economici delle parti in gioco sono tanti e diversi, in Europa e non solo, e in alcuni casi legati da vicino a quelli russi. Bisognerà vedere se la reazione sarà unitaria e andrà sino in fondo, o se si limiterà alle parole e alle proteste formali. Certo mai avremmo potuto immaginare di dover assistere ancora una volta – ottantaquattro anni dopo, solo un po’ più a est e con un altro conquistatore – a una nuova annessione dei Sudeti e a una nuova distruzione della Cecoslovacchia.
“Il sonno della ragione genera mostri”, recita il titolo di una illuminante acquaforte di Francisco Goya. Sonno della ragione è certo la sete di dominio imperiale di Vladimir Putin. Sonno della ragione è l’attacco in forze e l’invasione del territorio ucraino, col quale “Vladimir il folle”, come lo chiama Anna Zafesova su “La Stampa”, dopo il ricatto dei Sudeti è già passato alla fase due di questo assurdo remake del crescendo aggressivo che ha portato alla seconda guerra mondiale: l’offensiva senza limiti di queste ore ricorda da vicino l’assalto nazista alla Polonia. Ma forse sonno della ragione (di una ragione politica comune e costruttiva) è stata anche la mancanza di lungimiranza dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, della Nato, dell’Occidente in una parola, che ha permesso senza intervenire che la situazione ucraino-russa legata al Donbass degenerasse sino a questo punto.
David Sorani