Angoscia nucleare

Il rischio di una catastrofe di proporzioni incommensurabili continua ad aleggiare sul mondo intero. Paura che, nelle ultime ore, ha voluto dire soprattutto un nome: Zaporizhzhia, la centrale nucleare conquistata dai russi dopo una battaglia che ha fatto temere un esito peggiore persino di Chernobyl. È arrivato poi l’annuncio: il sito è in sicurezza.
Una pletora di nomi continua a scorrere nella galleria di orrore e angoscia di questi giorni. Come quello di Brest, la città bielorussa dove è ripreso il negoziato tra Mosca e Kiev e che è stata in passato una culla della cultura Yiddish. Tutto intorno, la descrizione è del Corriere, pianure e foreste che, “se potessero parlare come nelle novelle incantate di Isaac B. Singer, racconterebbero i drammi, le lotte per la vita e per la morte che, dal 1939 al 1945, travolsero milioni di individui”.
Di nuovo le bombe, di nuovo la morte. “Bambini e sopravvissuti alla Shoah, questa guerra apre nuovi traumi” ha spiegato a Pagine Ebraiche rav Avraham Wolff, il rabbino capo di Odessa, in una intervista sulla quale si sofferma, riportandone alcuni stralci, il Corriere. Così rav Wolff in uno dei passaggi più laceranti: “Un uomo di novant’anni, sopravvissuto alla Shoah, mi ha chiamato piangendo a causa dei boati. Ho cercato di tranquillizzarlo e ho spiegato che nessuno verrà ad ucciderlo”.
Amarezza nelle parole di Liliana Segre, ospite di Gariwo per la Giornata europea dei Giusti. “Non avremmo mai neanche lontanamente immaginato di sentire così vicino a noi, in Europa, il rombo dei cannoni, di vedere le case distrutte, le persone che piangono e muoiono” la testimonianza della senatrice a vita, di cui La Stampa riporta un brano. “Come possiamo definire il contributo italiano?” domanda Repubblica a Giovanni Maria Flick a proposito degli aiuti militari stanziati a favore dell’Ucraina. Risponde il giurista: “Un intervento effettuato nell’ambito del Trattato Nato del 1949. Non c’è nessuna dichiarazione di guerra, che deve essere pronunciata dal presidente della Repubblica su deliberazione del Parlamento, il quale a sua volta conferisce al governo i poteri necessari”. In ogni caso, il suo parere, “bene ha fatto Draghi a esplicitare la natura dell’intervento e le sue motivazioni di fronte a Camera e Senato”.
Varie voci ebraiche in risalto sui giornali. “Oggi l’Europa è stata scossa dal suo torpore e finora è stata all’altezza della sfida, ma non sappiamo ancora se stiamo facendo abbastanza, perché questa guerra è ‘vecchia’ di pochi giorni” dice David Miliband, ex ministro degli Esteri di Londra, al Corriere. Secondo Marek Halter (La Stampa) “Zelensky merita il Nobel per la Pace, ma temo che se le cose continueranno così ci farà ben poco: il Nobel non è una soluzione”. A suo dire sarebbe necessario “parlare con Putin, dobbiamo credere a questa opzione”.

Si continua a parlare di Israele come mediatore ideale tra le parti. “Israele nel mezzo” titola il Foglio, ricordando come tra aiuti all’Ucraina e rapporti con la Russia si trovi oggi “nel guado”. Domani affronta lo stesso tema e riferisce di un rifiuto israeliano a cedere all’Ucraina la tecnologia dell’Iron Dome. Per il Quotidiano Nazionale Israele potrebbe diventare la “Terra Promessa” di numerosi oligarchi russi, duramente colpiti dalla crisi e pronti a chiederne la cittadinanza. Chi quella cittadinanza ce l’ha già è Roman Abramovich, il proprietario del Chelsea che sarebbe tra i protagonisti del negoziato in corso. Una presenza fortemente caldeggiata dalle comunità ebraiche di Russia e Ucraina che hanno visto in lui, scrive Repubblica, “un punto di equilibrio possibile tra Kiev e il suo amico Putin”.

Il sindaco di Roma Gualtieri in missione a Dubai: l’obiettivo è quello di perorare la candidatura per l’Expo 2030. Tra i Paesi di cui si cerca il sostegno c’è Israele, che difficilmente però prenderà una posizione. Come segnala Repubblica, si fa infatti “sentire il peso della candidatura di Riyad e il possibile ingresso dell’Arabia Saudita negli Accordi di Abramo”.

Sul Messaggero Piero Trellini racconta qualcosa del suo nuovo libro dedicato all’Affaire Dreyfus. Per l’autore quel celebre caso di antisemitismo aveva già “tutti gli elementi della società attuale: gli influencer (nei salotti), le fake news, la rete (ferroviaria) e il grande boom della tecnologia”.

Sul Corriere si parla, con riferimento a una società sempre più frammentata, di “ghetti chiusi e invisibili che crescono intorno a noi”. Nell’articolo si racconta anche la storia di questo termine, nato a inizio Cinquecento in seguito alla decisione delle autorità veneziane di separare gli ebrei dal resto della popolazione.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(4 marzo 2022)