Edgardo Mortara, storia di una ferita
Bologna, primi anni Duemila. Uno storico statunitense che ha l’Italia nel cuore, David Kertzer, arriva in città grazie a un fondo di ricerca. Ad accoglierlo trova una coppia di amici che si fanno in quattro per farlo sentire a proprio agio. Lui si chiama Mauro Pesce ed è uno stimato biblista e studioso delle religioni. Molto conosciuta anche lei, Adriana Destro, un’autorità nel campo dell’antropologia. In passato hanno anche vissuto in Israele, facendo la spola tra Gerusalemme e un kibbutz. Non sorprende che dalle loro conversazioni scaturisca di rado qualcosa di banale.
A un certo punto Kertzer racconta una storia: è quella di un bambino ebreo nato a Bologna all’incirca un secolo e mezzo prima e il cui nome era Edgardo Mortara. Battezzato in segreto dalla domestica cattolica, non può più vivere insieme alla sua famiglia: le leggi della Chiesa parlano chiaro, ormai è da ritenersi un cristiano a tutti gli effetti. Agenti di polizia si presentano così dai Mortara, sottraggono loro il figlio e lo portano con sé a Roma dove, sotto le cure di papa Pio IX, sarà avviato a una carriera ecclesiastica. Enorme sarà l’eco di questa violenza da parte di uno Stato pontificio sempre più prossimo a un crepuscolo che questa stessa vicenda, disgustando una parte significativa dell’opinione pubblica, avvicinerà in modo non irrilevante. È così che il figlio della coppia, Stefano, viene a sapere del piccolo Edgardo e di quell’abuso. Di mestiere fa l’attore e oggi, vent’anni dopo, ha deciso che quella storia vuole raccontarla anche lui. Sul comodino un libro che è una pietra miliare per chiunque voglia approcciarsi a quei fatti: Prigioniero del papa re dell’amico Kertzer, vincitore nel frattempo del Premio Pulitzer. “Una lettura dalla quale non si può prescindere” sottolinea l’attore, volto noto anche di piccolo e grande schermo.
“Edgardo Mortara, una cronaca cittadina”, il suo nuovo spettacolo, appartiene al genere del docuteatro. A parlare sono i documenti del tempo, le testimonianze di carnefici e vittime. È lui stesso a guidarci, spiegando cosa sta leggendo e in che punto ci troviamo. “Un progetto ancora in divenire, un cantiere aperto” spiega a Pagine Ebraiche nell’imminenza di una prova molto attesa. Questa domenica sarà infatti protagonista nella sua Bologna, al Teatro del Baraccano. Un’iniziativa che nasce dal Museo ebraico cittadino, che ha scelto di sposare un progetto che è in un certo senso storico. È la prima volta infatti, almeno in Italia, che di Mortara si parla su un palco dedicato. Che uno spettacolo prova a ripercorrerne la vita, le ferite, le zone d’ombra. Predominante in questo senso, annuncia l’attore, gli atti del processo a padre Feletti. E cioè l’autore morale di un rapimento che, ricorda, “è anche un grande dramma umano”.
Lo spettacolo si conclude in uno dei momenti chiave. Siamo nel 1870, Breccia Pia è caduta e con essa anche il Ghetto istituito dalla Chiesa oltre tre secoli prima nel segno della “Cum nimis absurdum”. Due persone si incontrano in quella Roma in vertiginosa trasformazione. Sono Edgardo, ormai prete in divenire. E uno dei suoi fratelli, che ha appena combattuto per destituire il papa re dal suo trono di cinismo e disprezzo verso ogni diversità fede. Nessun risultato sortiranno però i suoi tentativi di riportarlo a casa e a quella identità che gli è stata strappata in quel modo turpe. Edgardo, all’ebraismo, non tornerà mai.
Sono tanti e molteplici i piani su cui si muoverà Pesce in questa sua “cronaca cittadina”. Nel farlo ha tra gli altri un desiderio: “Vorrei – afferma – che questo spettacolo suscitasse interesse e dibattito: penso infatti che questa vicenda abbia molto da dirci su cosa siamo stati, su cosa siamo oggi e su cosa vogliamo essere”. Uno spettacolo che nasce dall’esigenza di far riflettere anche su “come la cultura religiosa dominante influisca sulle scelte di vita e sull’identità di un individuo”.
(Nelle immagini: “Il rapimento di Edgardo Mortara”, quadro del 1862 di Moritz Oppenheim; Stefano Pesce in scena)