Il custode del cimitero ebraico
“Supporto all’Ucraina ci dà forza,
ma il mondo deve fare di più”
Beth ha-Chaim, casa della vita. Così l’ebraismo qualifica l’istituzione del cimitero.
“Ti ho posto davanti la vita e la morte…scegli dunque la vita, onde tu viva, tu e la tua progenie”, si legge nel Deuteronomio. Vasyl Kachmar, 33 anni, è il custode di una di queste “case”: quella di Padova, nel segno di una collaborazione con la Comunità ebraica che è iniziata nel 2016.
Vasyl è nato a Sambir, città situata nell’Oblast’ di Leopoli nell’Ucraina occidentale. Il confine con la Polonia dista all’incirca 40 chilometri. Il suo cuore, come si può facilmente immaginare, è lacerato. “Sono undici giorni che piango e che ho gli occhi rossi. Mi alzo con l’angoscia e la prima cosa che faccio è telefonare a casa, per sapere dai miei genitori come stanno, come hanno trascorso le ultime ore, cosa sta succedendo. A dormire ci vado con lo stesso senso di dolore e frustrazione. È tremendo, non trovo altre parole”, racconta a Pagine Ebraiche. All’inizio del conflitto ha provato a convincerli a raggiungerlo in Italia ma loro, con gentilezza ma al tempo stesso fermezza, hanno declinato l’offerta. “Vogliono restare lì, darsi da fare, aiutare. Ogni giorno vanno in una scuola, dove è allestito un rifugio e dove si prepara da mangiare per i militari. Ciascuno – sottolinea – sente di dover fare la sua parte”.
La voce di Vasyl si interrompe qualche istante. “Parlare è difficile”, confessa. Soprattutto quando si ha una figlia di otto anni e mezzo “che capisce tutto e sta male: posso solo immaginare lo strazio di chi si trova nella mia stessa situazione in Ucraina”. Le immagini di quesi giorni, d’altronde, “le abbiamo viste tutti, non le si possono equivocare”. Vasyl parla di guerra come male assoluto “ma che fa ancora più male pensando alla retorica dei popoli fratelli”. Le prime vittime, ricorda, sono proprio loro: i civili “senza nessuna colpa, i bambini e gli anziani: ora anche scappare non sembra più una opzione praticabile”.
Vasyl teme anche per la famiglia della sorella, che ha un figlio di 23 anni che potrebbe ritrovarsi a combattere a breve. Per il momento, almeno lui, non pensa di raggiungere l’Ucraina e arruolarsi. “Devo confrontarmi con il fatto che ho due bambini, di cui uno nato appena due mesi fa. Ti passano tanti pensieri per la testa in una situazione del genere”, la sua testimonianza. Vasyl è coinvolto nelle attività della comunità ucraina di Padova che, attraverso la propria chiesa (riviera San Benedetto 78), ha lanciato una campagna di solidarietà cui anche la Comunità ebraica locale ha aderito. C’è bisogno un po’ di tutto. In particolare, spiega, di medicinali, prodotti e strumenti. Un vero e proprio “Sos Ucraina” per salvare “il maggior numero possibile di vite”.
Kachmar ci saluta con un messaggio: “Il sostegno che stiamo ricevendo è fondamentale, un grande supporto anche sul piano morale. Ma l’Italia, l’Europa e il mondo intero devono fare di più, perché Putin non si fermerà”.
a.s twitter @asmulevichmoked
(7 marzo 2022)