Nel Regno di Analfabeta
Nel Regno di Analfabeta si cercano ossa umane per creare un fantasma.
La polizia del Regno si fa carico di ammucchiare le ossa, gli anziani sono inesorabilmente i “donatori” più numerosi finché l’ebreo Honza decide di consegnare il proprio nonno famelico per il bene della patria; il tiranno di Analfabeta annichilisce e persino la Morte accusa la propria sconfitta.
Il Regno di Analfabeta è ampiamente illustrato nello spettacolo per marionette “Abbiamo bisogno di un fantasma” scritto clandestinamente nel 1943 a Theresienstadt dal 13enne Hanuš Hachenburg (foto in basso), condotto a gasazione a Birkenau il 10 luglio 1944; la commedia di Hachenburg, comica e grottesca rilettura in chiave artistica del nazionalsocialismo stesa da un adolescente, apparve sul magazine Vedem realizzato da circa 40 ragazzi ospitati presso il pavillon L417 di Theresienstadt.
Come l’Impero di Atlantide concepito a Theresienstadt da Peter Kien e Viktor Ullmann nell’opera Der Kaiser von Atlantis, il Regno di Analfabeta chiede ai propri sudditi di vivere infelici e contenti; la smisurata quanto assurda fiducia riposta nelle proprie malefatte segnerà la fine del Kaiser nell’opera ullmanniana così come il tiranno di Analfabeta sarà pesantemente sbugiardato da Honza.
A Theresienstadt nascevano nuovi regni immaginari e perciò, al contrario del Reich, realmente umani; creare musica in deportazione significa prendere atto dell’inutilità delle parole.
Il musicista, unico vero Homo Europaeus, crede fondamentalmente in un mondo senza frontiere ed è il primo a dimostrarlo persino nei momenti più tragici della Storia; nel sec. XVIII, quando l’Europa era una vaga espressione geografica, il violinista Giuseppe Tartini fondò a Padova l’accademia violinistica europea Scuola delle Nazioni.
I più grandi europeisti seguaci di un pensiero universalista costruito sulla Pace si chiamavano Ludwig van Beethoven e Béla Bartók, immensi musicisti; l’attività musicale fu capace di scatenare veri e propri tsunami umanitari in Ghetti, Lager, Gulag e Campi per prigionieri di guerra.
I musicisti scompaginarono le menti più razionali, Georg Wilhelm Friedrich Hegel annullò le sue lezioni universitarie mentre il filosofo ipocondriaco Søren Kierkegaard lasciò Copenhagen, entrambi per recarsi a Berlino: nella capitale prussiana c’era Gioacchino Rossini.
Non trarremo insegnamento dalla Storia consultando velocemente la rete e i social in due giorni, trattasi di procedimenti molto ponderati e fisiologicamente più lenti rispetto alla velocità della cronaca; l’apprendimento della Storia è simile alla lavorazione del caffè, puoi dosare la migliore miscela ma se sbagli la tostatura degli ultimi minuti il caffè saprà di bruciato, l’aroma si volatilizzerà.
Viviamo un’epoca nella quale il terrapiattismo cerebrale – figlio della subcultura che prolifera nei social – va a braccetto con l’idiozia in salsa accademica di università che mettono all’indice Omero e Mozart in quanto “suprematisti bianchi”; prima che vengano a chiederci di non suonare musiche dei russi Rachmaninov e Prokofiev, è bene rammentare che non è soltanto il sonno della ragione a produrre mostri – citando la celebre incisione di Francisco Goya – ma anche l’insonnia.
La musica non deve commemorare vittime civili di una guerra ma anticiparne le cause per non farla deflagrare; non deve rendere memoria di un genocidio ma piuttosto prevenirlo.
L’ebreo Honza ci comunica dal Regno di Analfabeta che nulla è più reale dell’utopia e l’Arte è il più grande esercizio politico; quando nel 1935 l’ebreo figlio di ucraini George Gershwin scrisse l’opera Porgy and Bess nella quale i protagonisti erano afroamericani, non soltanto scrisse la più importante opera moderna americana ma allo stesso tempo creò la più alta forma di democrazia.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60esima Armata del 1° Fronte Ucraino – composto da militari ucraini – entrarono ad Auschwitz e liberarono gli ultimi superstiti; è appena il caso di ricordare che il loro comandante era il grande generale Ivan Stepanovič Konev (nella foto), russo.
La Storia ha terribilmente rimescolato le carte; il nuovo sembra essere il vecchio che era stato dimenticato o, se vogliamo, il futuro che non ce l’ha fatta.
Chi vincerà? Ancora una volta la musica, quella che giorni fa fermò i carri armati russi a Horodnya.
La prossima guerra sarà senza armi e si combatterà alle porte del Regno di Analfabeta.
Alla pari di Honza, vinceremo noi.
Francesco Lotoro