Ucraina, la Polonia solidale si mobilita
‘In auto sul confine per dare una mano’

Chiunque io conosca qui in Polonia, sta cercando di fare qualcosa per aiutare la popolazione ucraina.
Sin dal primo giorno dell’invasione, si sono mosse subito le ONG, i cittadini, le aziende. Su Facebook è stato creato un gruppo di sostegno per i profughi dove i membri sono arrivati in poco tempo a cinquecentomila. Si offre di tutto, dai posti letto a quelli di lavoro, trasporti, beni di prima necessità, informazioni utili e così via, tutto gratuito.
Mentre le città si popolano di nuovi abitanti, sono cambiate al volo le strategie di marketing. Oramai quasi ogni sito, da quello della banca alla telefonia ha una sezione dedicata ai rifugiati ucraini, aiuti e/o servizi di vario genere.
La comunità ebraica di Varsavia ha da subito proclamato ufficialmente il proprio sdegno per l’invasione putiniana e il JDC offre cibo agli esuli. Si stima che la Polonia abbia già visto passare sul suo territorio in questi giorni un milione di profughi dall’Ucraina.
Chi può ospita in casa le persone in fuga dalla guerra, e vedendo i loro oggetti di uso quotidiano, quasi identici a quelli nostri, si capisce sul serio quanto la guerra ci sia vicina. Come la loro condizione possa diventare la nostra un giorno. Farsi una maschera di bellezza al viso assieme ad una madre fuggita con la propria bambina da Kiev, lasciando tutto quello che aveva, diventa un momento di condivisione, di breve serenità e leggerezza. I racconti sulle notti passate nei bunker o a dormire in macchina lasciano sgomenti.
Non riuscendo a stare in casa con le mani in mano, leggendo notizie dell’orrore online, ho deciso di offrire una delle mie capacità cardinali alla società: guidare. La mia macchina è stata riempita fino al tetto di 2500 panini, preparati dai volontari di “Zupa na granicę”. Si tratta di una cooperativa attiva già dall’estate scorsa, quando ci fu la crisi umanitaria al confine con la Bielorussia. Come dice il nome stesso “zuppa per la frontiera” si prepara e invia cibo ai profughi in arrivo ai confini della Polonia.
Al dodicesimo giorno dall’invasione dell’Ucraina, sono partita all’alba da Varsavia verso uno dei valichi di frontiera più distanti, quello di Medyka, a circa 400 km dalla capitale. Alla periferia di Przemyśl mi aspettava un altro gruppo di volontari, quelli del “Społeczny Komitet w Przemyślu – Pomoc dla Ukrainy”. Hanno scaricato e subito smistato i panini verso i centri di prima accoglienza, verso la frontiera e verso la stazione ferroviaria di Przemyśl. Solo in quest’ultima si distribuiscono 10mila panini al giorno. I volontari di questo comitato locale sono allo stremo delle forze, non dormono da giorni e cercano di offrire un tetto, un pasto e prodotti igienici per le prime notti in terra polacca. Non solo si occupano dei rifugiati, da anni gestiscono un centro di educazione per adolescenti affetti da disabilità. I ragazzi, organizzati e seguiti in maniera esemplare, mi offrono un piatto caldo e del thè.
Przemyśl, già piccolo gioiello dell’impero austro-ungarico e importante centro ebraico, grazie agli splendidi edifici in stile eclettico e art nouveau, lentamente sta cercando di rinascere, dopo decenni di abbandono. Da sempre la Polonia orientale è stata trascurata. Ed è qui che il partito nazional-conservatore attualmente al governo, ha pescato volentieri voti, fomentando il senso di frustrazione e i complessi di inferiorità, con l’aiuto della chiesa cattolica. Già superato Lublino, proseguendo verso sud-est, era cambiata l’atmosfera, non più la movimentata Polonia piena di locali e centri commerciali, ma piccoli villaggi sorvolati da elicotteri e attraversati da convogli militari.
Non si torna a Varsavia con la macchina vuota e mi dirigo verso il valico per offrire un posto e un passaggio in macchina a qualche famiglia ucraina. Già la strada da Przemyśl a Medyka, circa 10 km, offre un paesaggio desolante, senza un albero, con la strada dissestata per lavori in corso e l’immondizia nei fossati. Arrivati sul posto ci si trova davanti un piccolo girone dantesco. Un ammasso caotico di tende delle ONG, tra cui l’israeliana Hatzala Lelo Gevulot, dei falò dove si brucia la qualsiasi, giornalisti con telecamere, montagne di vestiti usati e gente sfinita e terrorizzata, sotto una di quelle fitte nevi che non attecchiscono.
È un momento particolarmente doloroso, quando si deve scegliere tra la folla di donne con figli e animali domestici al seguito, quattro persone. Mi aiuta un poliziotto, gridando la mia destinazione e il numero di posti in macchina. Io lo seguo e con la gola strozzata riesco solo a dire: bambini, bambini. Mi vengono incontro due donne, due amiche, con i loro due bambini piccoli, felici che il loro viaggio da incubo sia finito, più o meno. Li porto verso la macchina e faccio vedere la mia patente. Inviando la foto di un documento di identità del conducente alla famiglia forse si sentiranno più sicure.
Sono stremati da due giorni di viaggio senza nemmeno una sosta per dormire, fuggono con piccole borse in mano, hanno lasciato mariti, figli, fratelli e padri, salutandoli come se fosse l’ultima volta. Non ci capiamo bene, ma su una descrizione concordiamo tutte parlando dell’invasore: sadici e fascisti. Mi raccontano della loro città circondata, Kryvyi Rih (dove è nato il presidente Volodymyr Zelensky). Di come non si riesca più a stare in casa a causa del rombo dei caccia russi che volano così basso da far tremare i muri.
Sotto un continuo chiasso di sirene, fatto dalle tante ambulanze, dai vigili del fuoco, dalle colonne della polizia che accompagnano politici e burocrati vari verso est, riusciamo ad arrivare in serata in città, dove le recupera un familiare arrivato dalla Polonia occidentale.
Con i miei occhi ho potuto constatare quello che già si era intuito. Il grosso del lavoro lo stanno facendo le amministrazioni comunali, i semplici cittadini e le piccole associazioni, la società civile in poche parole. Quella parte di collettività tanto bistrattata negli ultimi anni da questo governo che sulla pelle di tutti noi adesso cerca di farsi onore in Europa.

Anastazja Buttitta

(Nelle immagini, l’accoglienza dei profughi sul confine polacco-ucraino dei volontari dell’ong israeliana Hatzala Lelo Gevulot; in basso, la stazione di Przemyśl dove operano i volontari dell’associazione ebraica Hias)