Domande da lontano
Negli ultimi giorni uno tra i dibattiti più accesi in Occidente è stato in merito all’invio o al non invio di armi all’esercito ucraino. In molti probabilmente ha prevalso più che un reale sentimento pacifista una sorta di istinto di conservazione, comunque giustificabile, ovvero il timore di un’ulteriore escalation del conflitto.
Alcuni commentatori sui principali media hanno avanzato la perplessità che le armi alla resistenza ucraina potrebbero rivelarsi solo un primo passo per un successivo coinvolgimento più diretto sul campo, o hanno ipotizzato una ritorsione militare nei nostri confronti da parte dei russi. Per quanto in realtà la guerra fredda abbia dimostrato che fornire armi a un paese aggredito non significhi automaticamente un ingresso in guerra contro l’aggressore. Altri hanno espresso perplessità sull’esercito ucraino stesso, paventando il rischio che le armi offerte potrebbero finire prima o dopo nelle mani delle formazioni neo-naziste ucraine – comunque sovradimensionate rispetto alle narrazioni putiniane e rossobrune -. Per esempio, in un programma di Rai Radio 1 un cittadino di Kyiv, il quale aveva appena acquistato un’arma, non nascondeva il timore che alla fine del conflitto sarebbero rimaste in giro troppe armi in mano a comuni cittadini. I più hanno poi giustificato la loro contrarietà all’invio di armi con la possibilità che queste contribuirebbero ad allungare una sanguinosa guerra dalla quale l’Ucraina uscirebbe comunque sconfitta.
All’opposto è ugualmente irragionevole, e forse un po’ egoista, sostenere che gli ucraini dovrebbero soccombere e arrendersi seduta stante all’esercito di Putin, rinunciando alla propria libertà e permettendo così l’invasione del proprio territorio. Seguendo questa mentalità, per quanto il paragone storico sia inappropriato, l’Europa del Novecento sarebbe potuta ben restare nelle mani delle dittature nazi-fasciste.
Eppure però mi domando se al momento attuale ogni sforzo e la priorità non dovrebbe essere il principio del pikuach nefesh, la salvaguardia ad ogni costo della vita umana prima di ogni altra cosa, persino a discapito della propria libertà. La quale magari potrebbe essere riconquistabile in un secondo momento anche con altri mezzi. Forse per un bambino o una bambina ucraina che fugge dal proprio paese sotto le bombe sarebbe preferibile un padre o un fratello vivo accanto a sé piuttosto che crescere con il ricordo di un eroe nazionale. Considerando che dalla parte opposta ci sono ugualmente padri, fratelli e figli mandati spesso inconsapevolmente allo sbaraglio in una guerra priva di senso nata per decisione di un tiranno.
Sono solo dubbi e domande alle quali non dovremmo considerare scontata la risposta. Non dimenticando che qualunque nostra opinione a proposito rimane pur sempre un’idea presa comodamente da lontano, da parte di chi una casa l’ha ancora.
Francesco Moises Bassano