Le pagelle della democrazia

Ammetto di aver scoperto l’acqua calda ma il mio mestiere consiste appunto in gran parte nel far conoscere l’acqua calda al maggior numero possibile di persone. Sapevo dell’esistenza del Democracy Index – l’elenco stilato annualmente dal settimanale The Economist che ordina 167 paesi in base al loro grado di democrazia – ma non avevo mai provato a consultare direttamente la classifica. L’ho fatto due giorni fa con gli allievi di quinta ginnasio, scandalizzatissimi per la posizione dell’Italia tra le “flawed democracies”, “democrazie imperfette”, in compagnia di paesi che ai loro occhi apparivano assai meno democratici di noi, per esempio l’India o il Sudafrica, ma anche gli Stati Uniti e Israele. Per quanto riguarda gli Usa i motivi del loro dissenso erano molto chiari (e condivisibili); su Israele non ho capito bene quanto avessero le idee chiare, cosa pensassero realmente e cosa non avessero il coraggio di dire a voce alta; in pratica è stata citata solo l’instabilità politica derivante dal frequente ricorso a elezioni anticipate degli ultimi anni.
Al di là dello scandalo dei ragazzi devo ammettere che la posizione di Israele nella classifica dell’Economist ha sorpreso anche me, abituata a pensare che lo stato ebraico sia sempre giudicato da tutti con ingiusta severità. In questa graduatoria basata su una serie di parametri oggettivi direi che non è così: nella classifica del 9 febbraio 2022 Israele è al ventitreesimo posto, mentre l’Italia è al trentunesimo e gli Stati Uniti al ventiseiesimo. C’è da chiedersi se gli autori dei libri di testo di geografia, molti dei quali citano appunto il Democracy Index dell’Economist come fonte attendibile, si siano dati la pena di consultarlo prima di scrivere certe affermazioni imprecise e tendenziose su Israele. E sarebbe bene che lo consultassero tutti quelli che parlano di Israele a sproposito.
Per deformazione professionale provo a tradurre i punteggi espressi in decimi nel linguaggio degli scrutini: Israele ha un bel 7,97 (otto pieno in pagella senza discussioni), gli USA 7,85 (8-, diventa un otto ma si fa presente che è stato regalato qualcosa), mentre il 7,68 dell’Italia è più otto che sette ma non si sa mai. E già che parliamo di voti tanto vale distinguere le singole materie. La classifica che si può trovare su Wikipedia riporta i punteggi ottenuti nel 2019 da ciascun paese secondo i cinque indicatori principali: Israele (che nel 2019 era al ventottesimo posto) ha un bellissimo 9,17 in processo elettorale e pluralismo, un dignitoso 7,86 in funzionamento del governo, va decisamente bene in partecipazione politica (8,89), se la cava in cultura politica (7,50), mentre non è del tutto sufficiente (5,88) in libertà civili. L’Italia (che nel 2019 era addirittura al trentacinquesimo posto) è persino più brava di Israele in processo elettorale e pluralismo (9,58), mentre si deve accontentare della sufficienza (6,07) in funzionamento del governo, va abbastanza bene (7,78) in partecipazione politica, è poco più che sufficiente (6,25) in cultura politica mentre ha un bel 7,94 in libertà civili. Insomma, Italia e Israele hanno una media simile ma i voti nelle singole discipline sono abbastanza diversi. Per entrambi, comunque, il punto forte è il pluralismo.
Per quanto gli studenti possano contestare (talvolta anche con buone ragioni) la classifica e i suoi criteri, mi pare utile che imparino a fondare i propri giudizi su dati oggettivi e non su luoghi comuni o slogan; ed è anche utile che si rendano conto delle imperfezioni del paese in cui vivono. Infine, è interessante notare che Israele, se valutato secondo parametri oggettivi, senza tacere né i suoi punti di forza né gli aspetti problematici, se la cava benissimo senza alcun bisogno di difensori acritici.

Anna Segre