I demoni del passato

Affrontare con rigore analitico ed ermeneutico la vicenda bellica che contrappone la Russia all’Ucraina è come addentrarsi in un terreno minato. Se per gli studiosi, i ricercatori e gli analisti l’involuzione del quadro regionale, causato dall’aggressione di Mosca, non è di per sé troppo sorprendente – anche se ci si continua ad interrogare su tempi, modalità e reali obiettivi – la sua repentinità e la sostanziale nebulosità del target definitivo (fino a che punto si giungerà prima che le ostilità cessino?) costituiscono due fattori di forte incertezza nella formulazione di giudizi sufficientemente argomentati rispetto ai meri dati di fatto. Un simile stato di disagio non riguarda, invece, i giudizi di valore in quanto tali. Con una sorprendente inversione di priorità poiché l’attuale dinamica aggressore/aggredito è talmente palese da non richiedere di tornarci sopra, inchiodando semmai al ludibrio i colpevoli di una guerra disgraziata e delirante. Mentre la tangibilità degli eventi, al netto della quotidiana gragnola di colpi che investe le città ucraine – pari solo al profluvio di immagini che la documentano quotidianamente – è di difficile riscontro. Sappiamo che c’è una guerra, ne verifichiamo le tragiche manifestazioni, c’è una copertura mediatica ma essa non ci aiuta ad avere un quadro del tutto chiaro di ciò che sta effettivamente accadendo. Beninteso, nessun occultamento in senso proprio, se non quello esercitato dalle opposte propagande come, soprattutto, dalla macchina dell’omissione che si accompagna all’espansionismo russo. Poiché questa è una guerra che seguiamo per il tramite della decisa volontà di raccontarsi da parte degli aggrediti. I quali hanno la necessità vitale, per potersi concedere qualche chance in più di quelle, altrimenti perdenti, offerte loro sul versante militare, di mantenere costantemente accesi i riflettori su se stessi. Mentre gli aggressori sembrano essersi consegnati ad una sorta di bolla, sospesa in una dimensione quasi atemporale. Un altro passaggio cardine, al riguardo, è l’inflazione di rimandi alla storia, alla ricerca spasmodica, se non ossessiva, di analogie, similitudini e omologie. Qualcuno ha detto che «è una guerra che si muove, e viene raccontata, come sotto dettato della storia» (Davide Orecchio). Se da una parte si parla di «denazificare» dall’altra sui evoca la «Resistenza» e il partigianato. Se da un versante ci si richiama al patriottismo che accompagnò l’Unione Sovietica nel momento dell’invasione tedesca dall’altro ci si appella più all’Europa che fu di Churchill e De Gaulle che non a quella dell’Unione. Di mezzo ci sta l’oramai proverbiale reductio ad hitlerum che sembra essere divenuta il fulcro di ogni discorso demonizzante. Certo, quei territori, quindi la parte orientale del nostro Continente, trasudano ancora adesso di irrisolte memorie delle tragedie dell’occupazione nazista. Tra di esse, la squallida pagina del collaborazionismo. Così come – e di questo noi europei facciamo invece fatica a rendercene conto – c’è una complessa questione che è quella dell’eredità dell’autoritarismo comunista, che ha strozzato nella culla molti tentativi di dare corso, anche in quei paesi e non solo nei nostri, ad accettabili esperimenti democratici. La contrapposizione tra il putinismo reale, quello che concretamente governa la Russia, e i disordinati tentativi ucraini di andare oltre l’orizzonte di un’appartenenza ad un Oriente europeo che sta oramai troppo stretto, se non strangolante, ad un paese in ebollizione, è d’altro canto alla radice della stessa vicenda bellica. Non ne risolve i molteplici aspetti ma aiuta a comprenderne l’intrico. La formidabile (e imprescindibile, almeno per capire queste cose) scrittrice Svetlana Aleksiević, dice che «la Russia torna sui suoi passi, cammina facendo giri» intorno a se stessa. Quasi a volere lasciare intendere che la storia, in fondo, ha ben poco da insegnare se non che la compulsività e la ripetizione sono due dispositivi fondamentali dei sistemi di potere autocratici. Nel passato così come nel presente.

Claudio Vercelli

(13 marzo 2022)