Livelli di guardia, l’allarme
del direttore del Cdec
Il conflitto e la cattiva informazione
Bokertov, il notiziario quotidiano UCEI del mattino, si apre ormai da settimane sul conflitto in Ucraina e su come l’evoluzione dei fatti è affrontata dai media italiani nelle sue molte e intricate sfumature. Un quadro non sempre virtuoso, specie quando si punta l’attenzione su Israele e sul ruolo di possibile mediatore tra Mosca e Kiev di cui è accreditato. È il caso di uno sconcertante articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano (“Israele, la partita dell’incubo bomba”) a firma del generale Fabio Mini, un militare con vasta esperienza e significativi ruoli di comando a livello anche internazionale (è stato tra gli altri capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa, a capo del Comando Interforze delle operazioni nei Balcani e comandante delle operazioni di pace in Kosovo).
L’intervento guarda alla recente missione del Primo ministro israeliano Naftali Bennett nella capitale russa, una delle mosse diplomatiche che hanno contraddistinto le scorse giornate. Nel parlarne il generale tiene a farci sapere che Israele in quanto “Stato ebraico” (le virgolette sono sue) sarebbe la patria ideale di tutti gli ebrei “compresi i grandi banchieri che ostentano la visione galattica del potere”. E quindi che “nessuno di essi oserebbe opporsi a Israele, soprattutto se fosse alla ricerca di una soluzione della questione ucraina meno drammatica di quella oggi offerta da Putin”. Solo uno tra i tanti passaggi inquietanti di un intervento che sembra scherzare col fuoco dei peggiori istinti e pregiudizi.
Esprime profonda indignazione Gadi Luzzatto Voghera, il direttore della Fondazione Cdec (che tra i vari servizi dispone anche di un Osservatorio Antisemitismo molto attento alla china della società italiana in ogni sua forma). “Nella foga della ricerca di esperti di strategia militare e diplomatica che ci aiutino a comprendere la guerra di invasione in atto in Ucraina e le sue conseguenze geopolitiche, i giornali non vanno tanto per il sottile e a volte interpellano le persone sbagliate. Mi sembra questo il caso”, la sua opinione al riguardo. Molte le ragioni per pensarlo. All’affermazione sopra citata – “già di per sé sorprendente per la sua acutezza: è noto a tutti, infatti, che per definizione i banchieri sono ebrei”, prova a sorridere lo storico – segue l’indicazione della presenza in Russia di una comunità ebraica “molto forte”. E naturalmente, incalza l’autore, anche in America la comunità ebraica è “importante e soprattutto forte nell’ambito dell’Amministrazione centrale, a prescindere dal partito del presidente di turno”. Il generale ci svela quindi che i figli di Biden si sono sposati con coniugi ebrei (“Evidente elemento esplicativo delle profonde dinamiche diplomatiche in atto”, chiosa Luzzatto Voghera) e ci rende manifesto un lungo elenco di esponenti di rilievo dell’Amministrazione Usa che sarebbero tutti ebrei. Come peraltro Zelensky, il presidente dell’Ucraina. Nel fare ciò, osserva il direttore del Cdec, “è sufficientemente prudente da non scendere nella trivialità dei messaggi social che anche nel caso del conflitto in Ucraina attribuiscono tutte le colpe a un complotto ebraico”. Ma, si avverte, “la sostanza della sua retorica giornalistica non cambia”. Bennett, premier di uno “Stato ebraico” tra virgolette, emerge infatti “come il mediatore ideale perché in pratica i protagonisti di tutta questa faccenda – da una parte e dall’altra – sono ebrei, partecipi di un disegno che una sua qualche coerenza interna dovrà pur averla”.
Per Luzzatto Voghera “sarebbe molto semplice fare ironia sulla struttura semantica di questo brutto episodio di giornalismo”. Ma c’è ben poco da ridere in verità. La distorsione delle notizie, la manipolazione del messaggio ben leggibile fra le righe, non aiutano infatti in nulla “a spiegare al lettore la complessità di quanto avviene in Ucraina e nella diplomazia che si muove attorno alla guerra” e oltre a ciò “inoculano messaggi fuorvianti e distanti dalla realtà”. Corre quindi l’obbligo “di segnalare ai lettori di quel quotidiano e al suo direttore (che forse dovrebbe saperlo) che il generale Mini è membro del comitato scientifico della rivista Eurasia, diretta dall’editore Claudio Mutti, che è fra le firme più note dell’antisemitismo militante di casa nostra”.
La manifestazione di un problema esteso. “A noi che studiamo l’antisemitismo e ne sondiamo le dinamiche nella società contemporanea – riflette lo storico – piacerebbe che si ponesse maggior attenzione quando ci si occupa in maniera professionale di informazione nel veicolare messaggi che possono avere ricadute pericolose sulla nostra convivenza civile. Parliamo, purtroppo, per esperienza. In Italia ci siamo già passati e sappiamo com’è andata a finire”.
L’articolo di Mini è l’occasione per soffermarsi su alcuni concetti forse non sufficientemente chiari: “Uno dei messaggi più espliciti del linguaggio antisemita – ricorda Luzzatto Voghera – è da molti secoli quello che disegna gli ebrei con alcune caratteristiche negative pericolose. Essi sarebbero un gruppo omogeneo, che occupa le leve del potere, che si muove seguendo un disegno globale di conquista, che detiene il potere finanziario. Non importa che gli ebrei siano, nella realtà, ben altro. Non importa, ad esempio, che il premier di Israele sia presidente protempore di un governo di coalizione disunito e che ha una maggioranza risicatissima in parlamento, governo che è stato l’esito di diverse elezioni politiche andate clamorosamente a vuoto. Non importa che il 25% della popolazione di Israele viva sotto la soglia di povertà (un evidente segno di dominio finanziario). Né interessa agli alfieri della retorica antisemita il fatto che essere ebrei non ha alcuna relazione con le scelte politiche che ogni essere umano compie in autonomia e coscienza. Tutto ciò è irrilevante”. Quella retorica necessita infatti “di un’icona negativa chiara che sia immediatamente percepibile e che vada a pescare nei pregiudizi più profondi: quindi gli ‘ebrei ricchi’ vanno bene, come pure gli ‘ebrei solidali fra loro’, e ancora gli ‘ebrei minacciosi’”. Sconcerta che ciò accada in un Paese come l’Italia “che investe risorse intellettuali e anche economiche per varare una strategia nazionale di contrasto all’antisemitismo, che istituisce una commissione parlamentare che si occupa di linguaggio d’odio, che è impegnato nella costruzione di un museo nazionale dell’ebraismo italiano che racconta a tutti noi gli ebrei reali e il loro ruolo nella bimillenaria storia della civiltà di questa Penisola”.
Suona anche l’allarme per un mondo dell’informazione “sempre meno attento alla verifica dei fatti, e sempre più propenso a fare confusione fra notizie e propaganda”.