La Poesia che salva il mondo

“Essere felici in questo mondo è, ad ogni età, un atto rivoluzionario. Potrebbe trattarsi di una rivoluzione privata, oppure no: lasciamo, questa volta, che appartenga a tutti, che ognuno fiorisca dall’interno per autobenedizione”. Basterebbero queste potenti parole, che concludono il prologo della raccolta di poesie di Francesca Ruth Brandes “Tutti i pesci del mare” (Zacinto edizioni, Milano 2021), per comprendere quanto siano vani e al contempo tragici gli avvenimenti che accadono attorno a noi. Una guerra, milioni di profughi, migliaia di vite spezzate, poche prospettive di una pace vera. Eppure, scrive la poetessa veneziana che ha realizzato questa raccolta di versi, siamo noi a dover cercare (e dare) quella pace, trovando il giusto equilibrio nel nostro intimo e nei rapporti con chi ci è vicino. O con chi è stato accanto a noi per tanto tempo e con noi ha condiviso momenti di vita. Il libro è una coraggiosa introspezione legata a un grave lutto e alla necessità di andare oltre. Brandes non ce lo dice, ma si comprende bene. E la scelta di usare il linguaggio poetico per comunicare anche ai lettori comuni il proprio sentire è essa stessa una scelta rivoluzionaria, che lancia lo strumento dei versi come arma universale – unica, forse, assieme alla musica – da opporre al dilagare della violenza. Gli strumenti per contrastare una prospettiva che sempre più ci appare incerta e negativa ci sono. Possiamo, ad esempio, porre la nostra attenzione alla dialettica fra presenza e assenza (cioè fra la vita e la morte di chi ci è caro, come pure di chi ci è indifferente). Fare questo in versi è particolarmente significativo:
Non vergognarsi
delle visite a sera
quando nessuno
mi vede parlare
raccontarti del giorno
come sempre come se.

Quasi una preghiera, si potrebbe dire. Un tentativo di comprendere in profondità quanto sia importante condividere in pace la quotidianità con chi ci sta accanto, anche perché potrà venire un tempo in cui quella persona non ci sarà più, e potremo solo parlare alla sua ombra.

Si può anche – così ci propone la Poetessa – dare un senso al vuoto, come ci invita a fare in certi passaggi la mistica ebraica, quando prova a dare significato agli spazi fra le lettere del testo, quegli spazi che non sono “vuoto”. Eccolo, allora, quello spazio espresso in versi:

Il pensiero sta nella lacuna
nel vuoto santo
tra l’essere avvenuto
e la notte

Oppure, andando nel concreto dei comportamenti umani, si può e forse si deve porre attenzione al rigore delle nostre azioni nel presente. Un rigore senza il quale il rischio della lacerazione e del contrasto inane è dietro l’angolo.

Se scrivi e non canta,
butta via. Ricomincia
per ritmi infiniti
ancestrali monodici.

Ricomincio.

Se balli e non canta,
se non ti emozioni,
fermati
e pensa se ci credi.

Se non ci credi,
butta via, scegli
l’immobilità.

È forse questo il senso ultimo di questi versi magnifici e profondi che accompagnano un volumetto prezioso, da leggere e rileggere, come antidoto al contempo mistico e concreto per il nostro presente di guerra.

Gadi Luzzatto Voghera

(18 marzo 2022)