“Mai così orgoglioso di essere polacco
Paese unito per aiutare l’Ucraina”

Al telefono c’è Arieh, medico dell’ong israeliana Hatzalah Lelo Gvulot (Soccorso senza confini). Vuole sapere se si riesce a recuperare un’ambulanza per portare via tre rifugiati ucraini. Devono arrivare a Rzeszów, cittadina polacca a novanta chilometri dal confine. Da qui partiranno per Israele. “Ora troviamo una soluzione. L’ambulanza ci sarà”, la replica di rav Michael Schudrich. Da quando è iniziato il conflitto il rabbino capo di Polonia lavora senza sosta per coordinare l’aiuto ebraico ai profughi ucraini. “Due delle tre persone che andranno in Israele sono sopravvissuti alla Shoah. – spiega il rav a Pagine Ebraiche tra una telefonata e l’altra – I loro passaporti sono scaduti, ma ho parlato con le autorità polacche e hanno detto di non preoccuparsi. Questo è un esempio delle cose di cui ci occupiamo dal 24 febbraio scorso”.
Con una certa lungimiranza, rav Schudrich racconta di aver messo in allerta tutte le realtà ebraiche di Polonia già prima dell’inizio del conflitto. “Non ho doti profetiche, ma quando Putin ha iniziato ad ammassare le sue truppe sul confine bielorusso ho immaginato il peggio. E poi c’erano gli avvertimenti di Biden. Non erano dichiarazioni fatte per gioco”. Così per prima cosa il rav ha riunito le diverse realtà ebraiche e chiesto quali strutture potevano prepararsi ad accogliere le persone in fuga. “Ne abbiamo individuate quattro e siamo riusciti ad arrivare a 300 posti. Una goccia in mezzo al mare. Ma pur sempre 300 posti in più”.
Oltre a preparare le strutture per l’accoglienza, è nato un vero e proprio centro di risposta all’emergenza. “Quando l’invasione è iniziata ci siamo divisi i compiti secondo una lista divisa in dieci punti. A ogni realtà ebraica è stato affidato un incarico, a chi di gestire le ambulanze, chi il supporto psicologico, chi il numero verde o la raccolta e distribuzione di indumenti, e così via. È un metodo un po’ improvvisato e forse semplice, ma per noi ha funzionato. In particolare la linea telefonica, che opera con l’aiuto di diverse organizzazioni, è attiva quasi ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette con volontari che fanno oltre il possibile per rispondere alle esigenze di chi chiama”. Per comprendere come rispondere alle diverse problematiche, si è aperto un canale con gli esperti. “Ho contattato il responsabile europeo dell’ong ebraica americana HIAS. Da un secolo operano ovunque e fanno un lavoro straordinario nel soccorso umanitario. Ho anche invitato al tavolo un rappresentante di una ong locale che si occupa di rifugiati. Purtroppo la Polonia ha poca esperienza nell’accoglienza, come dimostra quanto accaduto sul confine bielorusso”. Qui i migranti arrivati da Siria, Iraq, Yemen e Afghanistan sono stati bloccati dal governo polacco e sono rimasti intrappolati sul confine in condizione disumane. “Abbiamo apertamente criticato questo atteggiamento, ma ora, rispetto all’Ucraina, la risposta governativa è stata straordinaria. A chiunque fugga dal conflitto e passa il confine viene garantita assistenza medica gratuita. È uno sforzo incredibile che coinvolge tutta la società”.
Anche Israele sta dando il suo pieno supporto, evidenzia il rabbino capo di Polonia. E il coordinamento con Varsavia funziona. Un dato non scontato alla luce delle gravissime tensioni tra i due paesi. Ad innescarle, con il richiamo per sei mesi dell’ambasciatore d’Israele in Polonia, una legge che limita la restituzione dei beni sottratti alle vittime della Shoah. Con l’acuirsi però delle minacce russe a Kiev, l’ambasciatore è tornato. “Ora ne abbiamo addirittura due da noi. Il ‘nostro’ e quello inviato in Ucraina. È una situazione molto insolita, piena di contraddizioni, come del resto è la nostra storia di ebrei polacchi. Comunque speriamo che questo porti a un futuro diverso”.
A proposito di auspici, il rav ne ribadisce uno a più riprese: “che il nostro governo abbia imparato la lezione rispetto all’accoglienza. L’ho detto anche partecipando a una delle poche occasioni in questi giorni non legata alla questione rifugiati: l’ottantesimo anniversario dell’operazione Reinhard (il progetto di sterminio degli ebrei polacchi all’interno del Governatorato Generale nel 1942). C’è stata una grande cerimonia a Lublino e, intervenendo, non potevo ignorare cosa stava accadendo a poca distanza. La guerra a pochi chilometri da noi. E ho detto chiaramente: non sono mai stato così orgoglioso di essere un cittadino polacco. Ripeto, speriamo sia stata imparata la lezione”.
Per quanto riguarda gli aiuti dall’estero alla Polonia per il rabbino capo tre sono le esigenze più immediate. “Medici che sappiano parlare russo o ucraino per curare i feriti. Psicologici che sappiano le due lingue per confortare le persone che arrivano, potete immaginare, in una situazione di stress fortissimo. Sono praticamente tutte donne, bambini e anziani che hanno lasciato mariti, genitori, figli a combattere. E un dramma sociale. E poi servono soldi. Capisco che la gente voglia inviare cose tangibili, cibo, vestiti e altri beni. Ma per gestire al meglio le necessità sul terreno è più facile acquistare in loco le cose di cui abbiamo bisogno. Tutto questo senza dimenticare una cosa: il sostegno da parte del mondo ebraico su questi fronti è stato eccezionale. Alle diverse comunità deve andare un grande ringraziamento”.

Daniel Reichel

(Nell’immagine il rav al centro con una delegazione di Hatzalah Lelo Gvulot)