In guerra, tra il passato e l’ignoto
Un improvviso, dirompente salto all’indietro e all’ingiù. L’aggressione all’Ucraina e la guerra spietata condotta dalla Russia di Putin contro un intero popolo, ma anche l’eroica resistenza di quel popolo ci hanno fatto tornare in pochi giorni a un passato ormai molto lontano (lontano nel tempo, evidentemente non nella sostanza). Una condizione di sconvolgimento, distruzione, morte ed esodo di massa che in Europa ormai quasi nessuno aveva vissuto sulla propria pelle o visto realizzarsi in regioni così vicine. Sentire e vedere la guerra quasi in diretta, avvertire da vicino una mole così grande di dolore e di precarietà provoca un effetto pesante, raddoppiato dalla celerità con cui questi scenari si sono prodotti e dalla nostra impreparazione. Eppure l’impatto psicologico straniante della guerra, così difficile da metabolizzare e tale da farci tornare a un mondo che ingenuamente ritenevamo del tutto trascorso, è solo l’effetto soggettivo e interiorizzato di cambiamenti radicali che saranno d’ora in poi realtà, non semplici impressioni create dalle immagini dei media.
Molte cose non saranno più come prima. Il villaggio globale sempre più integrato e interconnesso dei nostri giorni sta mettendo in luce, con irruenza e con una velocità di trasformazione/trasmissione propria della sua iperconnessione, le profonde crepe che lo solcano. Sepolte da tempo le ideologie e le diatribe che le caratterizzavano, il mondo scopre improvvisamente di essere più diviso che mai, accorgendosi che il progresso unitario e lo sviluppo continuo nascosti dietro le crisi ricorrenti e i conflitti commerciali erano pie illusioni e che la realtà è invece quella rivelata dalle atroci immagini di questa guerra: la ricerca di dominio politico ed economico da parte di un impero contrapposto e del suo capo, che si trasforma in occupazione, bombardamento, morte di massa, fuga, privazione della libertà, perdita dei propri cari e dei propri beni.
Noi ebrei, come popolo e come cultura che da sempre ha vissuto la persecuzione e la peregrinazione in cerca di nuovi approdi e nuovi sviluppi per conservare se stessa, non possiamo non soffermarci pensosi su quanto ci sta accadendo intorno. Purim appena trascorso e Pesach ormai prossimo non possono non trasformarsi anche in occasioni per riflettere sulle modalità della repressione di una intera nazione e sulla perdita/sulla irrinunciabilità della libertà. Nodi aggrovigliati che da sempre come ebrei cerchiamo di sciogliere, ma che sin qui ci apparivano lontani seppure perenni. E invece eccoli lì: accendiamo la TV ed essi emergono violenti e drammatici davanti ai nostri occhi, hic et nunc – in tempo reale e alle porte di casa.
Ma il presente drammatico che stiamo vivendo in questo febbraio-marzo 2022 non si limita a sconvolgere i nostri scenari abituali. Da un lato siamo risospinti a forza dentro un passato che pare riemergere con i suoi espansionismi imperialistici, con le sue guerre di conquista, con i suoi bipolarismi contrapposti (ieri era il mondo del socialismo reale contro il mondo del capitalismo, oggi l’emergere dell’Oriente contro un Occidente in supposto declino). Dall’altro siamo come nudi davanti a un futuro che si preannuncia imprevedibile, certo molto diverso da quello che abbiamo accuratamente disegnato e cesellato secondo i canoni dei nostri più umani ideali, auspicando rapporti internazionali basati sul dialogo e sulla costruttiva collaborazione tra gli Stati, sviluppo economico generale ed equilibrato, progressiva diminuzione delle abissali differenze sociali, e via discorrendo. Niente di tutto ciò è all’orizzonte. Siamo invece prostrati di fronte a un enorme punto interrogativo. Oggi come oggi il futuro che si proietta davanti al mondo occidentale è l’ignoto.
David Sorani