Banduristi e deserto del Nevada

La Kyivs’ka Kapela Banduristiv era un ensemble vocale e strumentale maschile fondato nell’agosto 1918 a Kyiv [Kiev] da Vasyl Yemetz che accompagnava il canto suonando la bandura, popolare strumento cordofono ucraino; ai banduristi non di rado si affiancavano i Kobzari, corporazione di menestrelli erranti ucraini prevalentemente non vedenti.
Il successo della Kapela fu tale che il governo ucraino avviò un progetto di sostegno economico, aprì una Scuola di bandura, un ostello per i non vedenti Kobzari, una fabbrica di bandura e un Museo; a Yemetz fu persino assegnata una inedita cattedra di bandura presso il Conservatorio di Kyiv.
Nel 1932, su ordine di Stalin, le autorità sovietiche invitarono tutti i Kobzari ucraini a partecipare a un congresso a Kharkiv ma era una trappola; arrivati a Kharkiv i Kobzari furono trasferiti fuori città e messi a morte, quelli scampati alla carneficina di Kharkiv non trovarono miglior sorte.
Marko Kashuba, Fedir Doroshko e Grygoriy Kopan furono arrestati e fucilati nel 1938; il cosacco Mykhailo Teliha fu fucilato dagli Einsatzgruppen il 30 settembre 1941 nel massacro di Babyn Yar.
Grygoriy Ivanovych Paliyivets, bandurista tra i più rinomati costruttori di bandura a Kyiv, cadde vittima della repressione stalinista del 1938; Ivan Iovych Kuchuhura-Kucherenko, pope della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, cieco all’occhio sinistro dall’età di tre anni nonché uno dei Kobzari ucraini più influenti di inizio Novecento, morì nel 1943 a Kharkiv durante l’occupazione tedesca.
Il Gulag sorto sulle isole Solovki (Mar Bianco) si contraddistinse per il massacrante lavoro di disboscamento della Carelia al quale furono sottoposti i prigionieri nonché per la tortura di spogliare e crocifiggere il prigioniero sulle betulle lasciandolo divorare dalle zanzare di tigre asiatica; così scrive il bandurista ucraino Mykola Oleksandrovych Sarma-Sokolovsky (foto), arrestato nel 1929 dalla sezione politica della NKVD di Dnipropetrovsk e condannato a cinque anni di esilio a Solovki.
Sokolovsky evase da Solovki e, sotto falso nome, si iscrisse all’Istituto d’Arte di Kyiv; ordinato nel 1942 diacono della Chiesa ortodossa autocefala ucraina, a fine 1944 fu nuovamente arrestato dalla NKVD, fuggì durante il trasporto dei prigionieri ma nel maggio 1948 cadde in un’imboscata della polizia politica sovietica e fu condannato a morte, pena successivamente commutata in 25 anni di prigionia presso il Gulag di Inta (Repubblica dei Comi, Russia).
Nel Gulag, Sokolovsky costruì la bandura per sé e altri prigionieri ai quali insegnò a suonare la bandura e tenne concerti; in seguito i prigionieri politici del Gulag crearono un ensemble di banduristi.
Negare il presente è la nuova frontiera del non-pensiero; cancellare lo spazio-tempo solidificato nel reale significa togliere il respiro vitale al futuro, che di passato si nutre e di presente si disseta.
Il buon vecchio complottismo “spaziale” si limitava ad asserire che l’uomo non è mai andato sulla Luna e che le missioni Apollo sono tutte “allunate” nel deserto del Nevada; oggi affermerebbero che la Luna non esiste e quella cosa lassù in cielo non è altro che un trucco olografico per depistarci.
La più efficace risposta a una guerra potrebbe non essere la pace ma una guerra più sofisticata: aprire teatri e biblioteche, fondare orchestre e fare concerti dappertutto, un bombardamento a tappeto sotto il quale difficilmente sopravviverebbe l’ignorante consapevole o il cannibale dei social.
Solo perché l’Arte è democratica per definizione, non per questo deve essere un optional della vita sociale da allocare tra le voci generiche del tempo libero; i barbari del nuovo millennio avrebbero un alibi per non istruirsi, coloro che governano la cosa pubblica non stanzierebbero un soldo in cultura.
Chi ha prodotto musica in prigionia e deportazione non pensava affatto di incantare l’uditorio con una Sonata per violino ma stendeva con polso fermo il Testamento del Novecento, posava la pietra angolare di futuri edifici del pensiero; tutto ciò per il bene e lo sviluppo del genere umano.
L’immenso patrimonio letterario, musicale e teatrale che ci proviene da Ghetti, Lager e Gulag ci obbliga a una nuova, profonda rivoluzione copernicana; non riscriveremo più il passato ma il futuro.
L’auspicio è che un nuovo Umanesimo riconduca finalmente l’uomo al centro della Storia; di ciò dovrebbe occuparsi la ricerca scientifica, il pensiero filosofico, la spiritualità.
Non è un generico ateismo a doverci preoccupare; è il non credere dell’uomo nell’uomo il vero male del mondo, il verme che divora dalla polpa la mela dell’ingegno umano e del suo primato universale.
Credere nell’uomo non significa credere nella materialità che ci avvolge, altrimenti sarebbe più semplice nascere mucca o bradipo o persino termosifone; credere immensamente in ciò che ancora non esiste affinché si materializzi sotto i nostri occhi, questo sì che è meravigliosamente reale.
La grandezza dell’uomo risiede nella sua immaginazione.

Francesco Lotoro