La propaganda di Putin

Qualche giorno fa una radio qualsiasi sosteneva superficialmente che scelte come quelle dei Måneskin di non suonare in Russia avrebbero incentivato ancora di più i giovani russi ad opporsi al proprio governo. Sul fronte russo invece il cantante di una popolare rock band, i Leningrad, canta che “ora un russo è come un ebreo a Berlino nel 1940”.
In tutto ciò è probabilmente difficile se non impossibile comprendere qual è il reale sentimento della popolazione russa di fronte all’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina. Quanto possono essere affidabili i sondaggi in un regime? E quanto possiamo davvero capire in merito all’entusiasmo durante eventi forse pilotati come il comizio di Putin allo stadio Luzniki?
Inutile ribadire quanto la popolazione russa sia socialmente e culturalmente eterogenea, quanto sia grande la distanza tra un laureato di Pietroburgo e un contadino del Volga, o un pastore della tundra siberiana. Ma probabilmente anche il nostro metro di giudizio e le nostre categorie interpretative per ciò che consideriamo dissenso/consenso o libertà e democrazia non sono perfettamente applicabili al cittadino russo e alla Russia. Basterebbe ricordare che un attivista ed oppositore al regime come Aleksei Navaln’yij, definito persino da Gad Lerner mesi fa “un eroe e rivoluzionario del nostro tempo”, negli anni passati non ha certo nascosto varie dichiarazioni d’odio nazionalista e xenofobo.
Rimane comunque possibile che il cittadino russo medio finisca per prendersela con i Måneskin o con le aziende straniere che abbandonano la Russia invece che con Putin reale artefice di questa catastrofe. La propaganda nazionalista preme sempre sul nemico esterno, sulla sindrome d’accerchiamento, sulla “congiura internazionale” per distruggere la cultura patria. Anche isolare Putin è certamente il minimo auspicabile, ma per un dittatore vale sempre il motto “tanti nemici tanto onore”. Dubito che a Putin interessino realmente, ormai, gli yacht nel Mediterraneo, gli incontri con Macron o le serate danzanti in compagnia di Berlusconi a Villa Certosa. La stabilità politica interna sarà certamente per lui di maggior importanza, così da chiudere la Russia con il chiavistello come ai tempi dell’Unione Sovietica.
Per questo forse, sempre ipoteticamente, un conflitto più lungo ed esteso certo non gli gioverebbe, e l’Unione Sovietica è già crollata una volta anche a causa del suo isolamento e del degrado della classe dirigente. Il fervore nazionalista e la propaganda da cui questo scaturisce poi non durano mai troppo, specie nella vita quotidiana.
Queste ultime considerazioni hanno lo scopo di terminare con parole di buon augurio, un po’ come insegnano alcune haftarot.

Francesco Moises Bassano