I valori perduti
Oggi, quando più di un mese è passato dall’inizio della tragedia in cui siamo immersi e che rischia di travolgerci, parliamo un po’ di noi occidentali ed europei: di quello che siamo o siamo diventati. Non è retorico ma dice la pura verità Volodymyr Zelensky quando afferma che l’Ucraina nella sua strenua lotta di resistenza sta difendendo l’intera Europa. Non è forse vero che il nazionalismo imperialistico e aggressivo di Putin mette in pericolo l’incolumità e l’equilibrio del nostro continente? Non è forse vero che l’inquietante domanda che tutti ci poniamo in questi giorni è sin dove il dittatore russo pensi di giungere nel suo folle progetto di espansione verso ovest? E non è altrettanto vero che ciò per cui gli ucraini combattono, oltre alla loro stessa vita, è la libertà, la democrazia, la giustizia, vale a dire quegli ideali di convivenza sociale che dall’Illuminismo in avanti l’Europa ha faticosamente e contraddittoriamente costruito, rimettendone insieme i pezzi dopo il baratro dei totalitarismi del secolo scorso?
Il problema principale, se come società europea angosciata dagli eventi distruttivi di questi giorni ci impegniamo in un esame interiore, è costituito dalle mancate risposte alle domande di aiuto provenienti dal presidente ucraino; risposte mancate non solo nei suoi confronti, ma anche verso le nostre stesse esigenze morali e politiche di europei consapevoli. La carenza di decisione, l’incertezza, la paura, il pensiero rivolto al nostro immediato futuro energetico prima che all’agonia di un popolo strangolato sono evidenti segnali di un allontanamento da quei valori che noi stessi abbiamo posto a fondamento del nostro sistema.
Solidarietà. La vicinanza a chi contro tutte le norme del diritto internazionale è stato proditoriamente aggredito ed è vittima di una guerra di conquista, a chi si trova in pericolo costante e quotidiano eppure nonostante tutto continua a lottare per la propria libertà, la si dimostra non solo con la doverosa e spontanea accoglienza dei tanti profughi (ciò che per fortuna l’Europa sta assicurando), ma anche assistendolo nella sua lotta per la vita e per i principî che con noi condivide. La solidarietà attiva è qualcosa di diverso dalla pura partecipazione emotiva; significa mettersi in gioco, mobilitarsi, condividere costruttivamente una reazione: in sostanza, rispondere con una partecipazione utile a chi con forza chiede aiuto. Non mi pare che l’atteggiamento occidentale verso l’Ucraina che disperatamente si difende abbia queste caratteristiche di pieno coinvolgimento; assomiglia più a un assistere impotente che a un contributo effettivo e partecipe.
Giustizia. Le armate di Putin hanno clamorosamente violato le norme del diritto internazionale, invadendo senza aver subito nessuna provocazione il territorio di uno Stato sovrano. La violazione è da più di un mese elevata all’ennesima potenza, attraverso la guerra distruttiva portata ovunque e attraverso i veri e propri crimini di guerra compiuti sulla popolazione civile (uccisione di bambini, violenza sulle donne, rapimento di profughi e altro ancora). Se vuole essere custode e garante del diritto internazionale, l’Occidente non può accontentarsi di elevare vibrate proteste; ha il dovere (giuridico, politico, nel fondo comunque morale) di intervenire, se necessario con l’uso della forza. Non facendolo, viene meno al rispetto di un principio fondamentale su cui le sue stesse istituzioni sono basate. Il problema, è quasi ovvio, consiste nel fatto che l’Occidente più prossimo e coinvolto, vale a dire la UE, non possiede strutture militari comuni in grado di renderle possibili interventi armati (e in grado quindi anche di giocare politicamente sulla minaccia di un possibile ricorso alle armi). La Nato d’altronde non intende (e forse statutariamente non può) muoversi se uno dei Paesi membri non è coinvolto direttamente nel conflitto. Nello sfondo, poi, si staglia il fantasma terribile e improponibile della guerra nucleare. Di fatto, però, l’impotenza dei nostri strumenti operativi e la paura delle armi atomiche non pongono rimedio alla mancata risposta nei confronti dell’ingiustizia.
Democrazia. Di fronte a un’azione politica totalitaria come quella esercitata dalla Russia tanto a livello internazionale quanto entro i propri confini, la società occidentale – che della democrazia porta avanti gli ideali e vuole essere la realizzazione – dovrebbe opporsi con tutta la forza trascinante della partecipazione popolare. Perché invece l’opposizione di masse partecipi e compatte nei confronti di Putin e della sua politica di conquista è così flebile e incerta? Perché nelle nostre città non si vedono cortei di protesta come quelli che cinquanta anni fa contestavano la guerra e le violenze degli USA nel Vietnam? Perché nessun coinvolgimento sociale appoggia con manifestazioni collettive la lotta del popolo ucraino per la propria sopravvivenza e libertà? Paradossalmente, una lezione di coraggiosa democrazia giunge a noi occidentali dal cuore dello stesso sistema totalitario, dai dissidenti russi che con rischi continui e tangibili non cessano di opporsi a Putin anche attraverso iniziative clamorose. Purtroppo, abituati come siamo da tempo alla nostra facile democrazia del quotidiano, ci sfugge il significato di fondo della democrazia come patrimonio condiviso e partecipato, per difendere il quale si deve essere disposti a scendere in piazza; la democrazia stessa rischia così di perdere autenticità e di trasformarsi in un piacevole argomento di conversazione da salotto.
Come spesso mi capita (e come può capitare a ciascuno rispetto alla propria cultura di appartenenza), mi vengono in mente le interpretazioni ebraiche dei valori che di fronte al dramma ucraino rischiamo di perdere. La solidarietà come spinta alla responsabilità reciproca
(כל ישראל ערבים זה לזה), i principî di giustizia come צדק e come משפט, il rapporto stretto tra il concetto occidentale di democrazia come condivisione di diritti, doveri e libertà e quello ebraico di בְּרִית come patto, accordo stabilito tra le parti: mi sembrano tutte tracce di indirizzi possibili per ritrovare parti essenziali di noi stessi.
David Sorani
(29 marzo 2022)