Il dubbio
“Molti miei conoscenti strapparono i manifesti; io mi astenni, pensando che essi offendevano tutta Torino e toccava agli altri strapparli, come io avrei strappato quelli contro una categoria di cittadini a cui non appartengo, ma poi mi convinsi che il mio ragionamento era troppo fine e che la prova di coraggio dei miei amici veniva apprezzata dalla popolazione.”
Il dubbio espresso da Emanuele Artom nei suoi diari dell’ottobre 1941 a proposito dei manifesti antisemiti comparsi per le strade di Torino è per certi versi simile, anche se fortunatamente in forma assai meno tragica, a quello che si presenta davanti a noi insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche in molte occasioni, dal Giorno della Memoria alla stessa marcia annuale in ricordo di Emanuele Artom (che si terrà a Torino tra pochi giorni, il 6 aprile): non dovremmo essere noi ebrei a parlare agli allievi di antisemitismo e persecuzioni contro gli ebrei e ad organizzare attività ed eventi su questi temi, dovrebbero farlo i nostri colleghi non ebrei, così come noi insegnanti ebrei abbiamo il dovere di occuparci di tanti altri temi non meno gravi e urgenti. Altrimenti si corre il rischio di trasmettere l’idea che la lotta all’antisemitismo o la memoria della Shoah siano problemi personali degli ebrei e che in generale sia logico aspettarsi che ciascuna categoria di cittadini si occupi esclusivamente degli affari propri. D’altra parte, così come il gesto dei ragazzi ebrei che strappavano i manifesti era comunque apprezzato dalla popolazione, anche noi siamo spesso apprezzati e incoraggiati dai colleghi, che si appoggiano volentieri a noi per cercare contatti con le Comunità ebraiche, ci chiedono consigli bibliografici, suggerimenti sulle attività da organizzare, ecc.
Da un certo punto di vista il nostro coinvolgimento su temi che riguardano gli ebrei o l’antisemitismo ha anche un valore educativo perché insegna ai ragazzi una cosa che dovrebbe essere scontata ma che invece in questi tempi è assai poco di moda: la competenza. È giusto che gli allievi capiscano che alcuni insegnanti hanno competenze specifiche in determinati campi e che conviene trarre il massimo profitto dalle competenze di ciascuno senza pretendere che tutti si occupino di tutto.
Resta comunque il rischio di essere percepiti come monomaniaci, persone che hanno in testa un unico chiodo fisso e non sanno occuparsi d’altro. È un rischio tutt’altro che remoto, soprattutto perché chi dedica molto tempo e molte energie a un tema spesso fatica oggettivamente a trovare tempo ed energie per altri temi. E così nelle scuole vediamo che ci sono gli insegnanti che si occupano di Shoah, quelli che si occupano di mafie, quelli che si occupano di ambiente, ecc. Ciascuno organizza attività nel proprio campo e spesso fatica a partecipare o a far partecipare i propri allievi alle attività organizzate dai colleghi; e così magari va a finire che una classe, avendo sempre gli stessi insegnanti, per cinque anni organizza attività per la Giornata della Memoria mentre un’altra classe si occupa sempre solo di mafia, un’altra sempre solo di ambiente, un’altra di razzismo, mentre altre classi non sono mai coinvolte in nulla.
Insomma, dovremmo fare attenzione a evitare che la competenza diventi autoreferenzialità. E non è affatto facile.
Anna Segre
(1 aprile 2022)