Zeved ha Bat, emozioni in sinagoga

Uno Zeved ha Bat, la cerimonia ebraica dell’attribuzione del nome ad una bambina, ha richiamato l’attenzione del pubblico al Tempio di Torino dove si è svolta, sia per la cerimonia in sé, ricca di canti suggestivi, sia per le importanti derashot di cinque rabbini intervenuti per allietare l’evento: rav Alberto Somekh, rav Riccardo Di Segni, rav Ariel Di Porto, rav Luciano Caro e rav Ariel Finzi. L’occasione è stata la nascita, quaranta giorni fa, della piccola Costanza Lia Gaudiano Disegni.
A spiegare tra gli altri il significato e le origini di questa cerimonia è stato il rav Di Porto, che di Torino è il rabbino capo, intervenendo prima che il nome venisse imposto alla piccola e oltre a ciò le venisse anche impartita la benedizione di rito.
“La cerimonia dello zeved ha-bat (dono della figlia) – ha esordito il rav – è stata introdotta in un periodo abbastanza recente (anche se antichi Siddurim ne riportano il testo), e, al pari del bat mitzwah, ha subito una evoluzione significativa nelle ultime generazioni, parallelamente allo sviluppo dell’educazione femminile. Le fonti talmudiche narrano solamente della piantagione di un albero nel momento in cui nasceva una bambina, albero dal quale sarebbero stati ricavati i pali sui quali sarebbe stata stesa la sua chuppah”.
“L’elemento principale nella breve cerimonia che facciamo oggi – ha proseguito – è quello del conferimento del nome. Perché assume il nome di Zeved (dono)? La fonte è nel libro di Bereshit (30,20), quando la matriarca Leà diede alla luce Zevulun, e affermò ‘D. mi ha fatto un bel regalo’. Secondo la tradizione l’unica figlia femmina di Ya’aqov, Dinah, la cui nascita è narrata nel verso successivo della Torah, era gemella di Zevulun, e la grande gioia di Leah, che aveva già avuto cinque figli maschi in precedenza, era da attribuirsi alla nascita di una bimba. Il termine Zeved fra l’altro racchiude le iniziali di Zevulun e Dinah (zv-d)”.
“In apertura – ha poi spiegato – viene citato un versetto tratto dal Cantico dei Cantici (2,14) ‘O mia piccola colomba che te ne stai nelle fessure delle rocce, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce poiché essa è soave e il tuo viso è grazioso’. Come è noto i versetti del Cantico dei Cantici sono stati riferiti dai chakhamim al rapporto fra D. e il popolo di Israele. Nello specifico questo versetto è stato riferito all’apertura del mar Rosso. Il popolo ebraico è paragonato dal Midrash (Shir ha-shirim rabbà 2,2) ad una colomba che fuggendo da un falco, cerca riparo nella fessura di una roccia, nella quale c’era un serpente. Vista la situazione, non può andare avanti, per via del serpente, né indietro, per via del falco. Per questo la colomba emette suoni e sbatte le ali, per attrarre l’attenzione del suo padrone, che l’avrebbe messa in salvo”. “Allo stesso modo – ha evidenziato il rav – il popolo ebraico gemette affinché il Signore gli desse ascolto: non potevano procedere perché davanti avevano il mare, né potevano tornare indietro per via degli egiziani”. Un’altra lettura midrashica, ha quindi aggiunto, “riferisce questo versetto allo studio e alle buone azioni, riportando un famosissimo insegnamento per cui lo studio è superiore all’azione, perché è lo studio a condurre all’azione”.
“Auguro a Costanza – ha concluso rav Di Porto – di eccellere in entrambi gli ambiti”.