Le luminarie di Scutari

All’indomani della Prima Guerra Mondiale, nella maggior parte dei territori devastati dal conflitto bellico la popolazione ripristinò i meccanismi pedagogici, culturali e artistico-musicali ancor prima di ricostruire palazzi ed edifici distrutti; si approntarono biblioteche con scaffali recuperati, si riavviarono corsi scolastici all’aperto, si suonava e cantava tra le macerie.
Nel 1918 il musicista sloveno Andrej Majnik – arruolato nell’esercito asburgico, catturato dai russi e infine arruolatosi nell’Armata Rossa – tornò nella sua città natale Volzana (oggi Volče, Slovenia), praticamente rasa al suolo; senza esitazione Majnik assemblò il coro parrocchiale, organizzò e diresse spettacoli allestiti in una caserma ricostruita in poco tempo, diresse un grande coro di tamburitza e un’orchestra studentesca assemblata presso il vicino paese di Tolmin [Tolmino].
Nel 1927 il regime fascista bandì sul territorio italiano le attività pedagogiche della minoranza slovena, a Volzana l’autorità confiscò libri in sloveno, strumenti musicali e un pianoforte; membro dell’organizzazione segreta antifascista TIGR, Majnik non si perse d’animo e continuò a dirigere clandestinamente coro e orchestra di tamburitza nella provincia veneziana e tra i villaggi isontini.
Dopo la resa italiana, il pianoforte fu recuperato e riportato a Volzana.
Quando nel giugno 1943 gli Alleati liberarono la Sicilia, il cantante lirico sloveno Polde Černigoj – inquadrato nell’esercito italiano come tanti italiani di lingua slovena e croata residenti nel Litorale Adriatico Trieste-Fiume – cadde prigioniero delle truppe angloamericane e fu trasferito via mare da Porto Empedocle al Campo tunisino di Biserta, infine nel Campo algerino di Corso; sotto la direzione di Černigoj, i prigionieri slavofoni assemblarono un coro di 35 elementi, dopo la guerra il coro si ricostituì a Belgrado intitolato al poeta sloveno Srečko Kosovel (Černigoj fu primo basso del coro).
Padre Martin Gjoka OFM (foto accanto), frate francescano e musicista albanese nato a Bar nel 1890, era magistralmente versato nella composizione oltre a suonare flauto, violino e pianoforte; dopo l’indipendenza dell’Albania dal Regno Ottomano (1912), il campanile della chiesa dei francescani di Scutari era collegato con le luminarie al minareto della vicina moschea e Padre Gjoka teneva concerti sia per la Pasqua cristiana che per festa islamica del Kurban-Bajram [Id al-Adha].
Docente di Storia, Geografia e Lingua tedesca presso il liceo francescano Illyricum di Scutari, nel 1922 fondatore di un’orchestra e autore di musica organistica e corale nonché di una Sinfonia dedicata all’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg (incompiuta), primo compositore albanese di musica classica, Padre Gjoka subì traumaticamente la chiusura dell’Illyricum da parte del regime fascista insediatosi dopo l’occupazione italiana dell’aprile 1939; fu altresì testimone dell’arresto e internamento in Italia di uno dei professori del liceo, della fuga di altri docenti in Jugoslavia e infine della confisca di tutti gli strumenti musicali della scuola francescana.
Duramente provato e addolorato per l’accaduto, Padre Gjoka si ammalò; il 3 febbraio 1940 morì di infarto, la popolazione cristiana e islamica di Scutari partecipò in massa alle esequie funebri.
Docente di composizione a Lubiana, il compositore e direttore d’orchestra Zvonimir Ciglič (foto accanto) subì la sventura di essere imprigionato nel 1945 nel Campo di Gonars dall’autorità italiana della Repubblica di Salò e successivamente nel carcere militare di Karlovac dall’autorità della neonata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia; a Gonars stese a memoria il Nokturno per pianoforte scritto prima della prigionia e deportazione, dopo la guerra assunse l’incarico di direttore dell’Opera di Sarajevo e nel 1955 direttore della Filarmonica di Subotica.
Ciglič lasciò le seguenti parole, emblematiche dei processi mentali ed emotivi di creazione musicale nelle fasi esistenziali di disagio e sofferenza legata a guerre e lotte sociali: “Ho composto di più durante la guerra e durante il più drammatico periodo rivoluzionario post-bellico. È come se non avessi bisogno dell’idillio per comporre ma, al contrario, di un’atmosfera quanto più apocalittica possibile. Quello è il momento del sacrificio universale, perché ogni vera rivoluzione è concepita per tragica necessità, a causa delle difficoltà della vita”.
Si dice che la musica sia la colonna sonora della vita; è vero, a patto che ci si lasci guarire da essa, altrimenti la vita assomiglia a un disco rotto e il pick up inciampa sempre sul medesimo solco.
Laddove l’uomo soffre e combatte, subentra la musica; ecco perché a Mauthausen i deportati intonavano Hymn an das Leben (Inno alla Vita) dopo l’esecuzione capitale di un loro compagno così come, durante la Guerra Civile, Pablo Casals attraversava la Spagna suonando il suo violoncello.
La vita è una priorità; l’Arte è l’identità sociale e morale della vita.

Francesco Lotoro

(6 aprile 2022)