Gesti di coraggio
Questo è l’ultimo Shabbat prima della festa di Pesach che è considerata l’inizio della nostra storia, ed è conosciuto come “Shabbat ha gadol”. Il motivo dell’appellativo “ha gadol” lo si ritrova nel “grande” gesto di coraggio che gli ebrei, nonostante la schiavitù che voleva togliere loro la dignità oltre che umana anche ebraica, riuscirono a compiere davanti agli egizi. Seguendo l’ordine divino, presero un capretto, considerato dagli egizi animale sacro. Lo custodirono per quattro giorni, per poi immolarlo davanti agli occhi sbigottiti dei loro oppressori, che però non ebbero la forza di ribellarsi nonostante considerassero il gesto estremamente sacrilego.
Molte volte nella vita bisogna dare prova di coraggio, facendo cose anche non condivise da tutti, per conquistare stima e dignità. Gli ebrei che per quattrocentotrent’anni erano stati umiliati da un regno senza rispetto per le vite altrui, si riscattavano con un gesto clamoroso, per dimostrare al mondo la loro esistenza e individualità.
Per essere un popolo conosciuto e considerato bisogna far sentire la propria voce e non tacere davanti alle peggiori umiliazioni, come la schiavitù e la negazione dei propri diritti.
Il malato di tzara’at, come leggiamo nella parashà della settimana, era additato per il suo cattivo comportamento sociale e, attraverso l’isolamento e soprattutto la riconciliazione con se stesso prima e con gli altri in seguito, tornava sulla scena del “mondo” con dignità, rispetto e considerazione.
Nasceva quindi una nuova identità: il popolo ebraico che, dopo tanti secoli di allontanamento dalla scena sociale, tornava a splendere fra i popoli della terra con tutti gli onori, pronto a ricevere una legge – evento più unico che raro per il mondo dell’epoca – che lo avrebbe incoronato “mamlekhet kohanim ve goi kadosh – reame di sacerdoti e popolo santo”. (Shemòt 19;6)
“Bet Ya’aqov me’am lo’ez – la Casa di Giacobbe da un popolo barbaro” (Salmi 114;1).
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna