Silenzio e coerenza

Durante il programma “l’aria che tira” su La7, il sindacalista e leader di Potere al Popolo Giorgio Cremaschi in merito alla strage di Bucha risponde evasivamente che “sono i giudici terzi a stabilire i colpevoli durante un conflitto, e poiché la prima vittima della guerra è la verità, non si può credere preventivamente a nessuna delle opposte propagande di guerra”. Se Potere al Popolo è un partito che, forse non a caso, non ha mai superato la soglia di sbarramento elettorale, il comunicato stampa dell’Anpi, menzionato da Cremaschi, se possibile è peggio: viene condannato il massacro di Bucha (ma) “in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”.
Forse, e rimarco il forse, da una parte potrebbe anche essere comprensibile qualche giorno e una certa cautela prima di pronunciarsi di fronte a qualunque evento criminoso o strage, per riflettere bene sulle parole adatte da usare, verificare le fonti, o anche solo per elaborare le proprie emozioni. Non si tratta sempre di scetticismo o di una messa in dubbio dei fatti, i quali in casi come questi sono invece confermati da più parti e non sono solo il frutto della propaganda di due stati in conflitto, ma se davvero è necessario del tempo non è meglio intanto tacere prima di scrivere comunicati o esprimersi nella maniera sopra? È un po’ come quando di fronte alla testimonianza di un individuo vittima di violenza qualcuno commenta “è un gesto da condannare, ma sentiamo prima anche l’aggressore” oppure “forse la vittima era consenziente”. Non ricordo per esempio analoghi di Cremaschi o l’Anpi stessa parlare di “giudici terzi” quando emerse lo scandalo di Abu Ghraib o la strage di Haditha sempre in Iraq, o quando al G8 di Genova la polizia pestò a sangue giornalisti e manifestanti dentro la scuola Diaz. Mettere immediatamente in dubbio le testimonianze dirette parlando di “giudici terzi” sarebbe stato inevitabilmente irrispettoso nei confronti delle vittime. Coloro che invece negavano, minimizzavano, o si esprimevano in maniera simile non a caso fiancheggiavano gli autori delle violenze.
Difficilmente poi la stessa parte politica di Cremaschi attua il medesimo “nenismo” o richiama “commissioni d’indagine internazionale neutrali” in merito ad altri conflitti, come per esempio quello israelo-palestinese, in quel caso invece il più delle volte basta e avanza soltanto la propaganda di Hamas. Sarebbe auspicabile allora essere un po’ più coerenti e applicare gli stessi parametri per ogni situazione internazionale non soltanto quando sembra far comodo.
Potremmo forse ritenere meno malignamente che crudeltà come quelle commesse a Bucha o in altri luoghi d’Ucraina sfuggano alla comprensione umana, non siano più concepibili nel XXI secolo, cerchiamo quindi di negarle perché non vogliamo credere che possano esistere nel nostro stesso mondo. Purtroppo non credo sia questo il caso di chi in questi giorni chiude gli occhi o cambia argomento di fronte alle violenze dell’esercito russo.
Nella libreria di Cremaschi durante la diretta su La7 è ben visibile dietro di lui un corposo volume rosso di Karl Marx, ripenso allora a Maximilien Rubel (1905-1996), storico comunista di famiglia ebraica, quando invitava a diffidare dei marxisti ma non di Marx, ritenendo che il marxismo come si è evoluto nel tempo non sia altro che un grosso fraintendimento del pensiero del filosofo. Così vale anche probabilmente per altre teorie politiche e filosofiche della modernità, degli “epigoni” contemporanei che ritengono di ispirarsi a queste. Sempre meglio starne alla larga.

Francesco Moises Bassano