Crimini di guerra
Si sente dire da più parti, ogni volta che si parla di massacri di civili, che è la guerra. Certo, è la guerra. Ma esistono specifici reati contemplati dal diritto internazionale che si chiamano crimini di guerra, crimini contro l’umanità. Non sono sempre esistiti. La codificazione e la sanzione dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità ha origine in occasione del genocidio armeno e si perfeziona dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah, con il processo di Norimberga. Un grande apporto a questo processo di definizione giuridica viene da Raphael Lemkin, giurista ebreo polacco (era nato Wolkowysk, oggi Bielorussia) rifugiato negli Stati Uniti, che coniò nel 1944, guardando alla Shoah, il termine “genocidio”. Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio. Giudice competente per tali crimini è la Corte internazionale dell’Aia, operativa dal 2002, la stessa che ha processato Milosevic, l’ex presidente serbo, per crimini di guerra e contro l’umanità.
Attribuendo genericamente alla “guerra” le colpe dei massacri in Ucraina di questi giorni torniamo indietro di un secolo rispetto al processo che dall’inizio del Novecento in poi ha cercato di limitare e considerare reati i crimini contro i civili e che dal 1945 in poi ha tratto dalla Shoah la spinta a impedire i genocidi, a prevenirli, a rendere meno sanguinose le guerre, a salvaguardare i più deboli. Se è la guerra, in attesa di fermare le guerre, tutto è lecito, non ci sono limiti all’orrore, nemmeno al comandamento di non sparare sulla Crocerossa: la notte in cui tutte le vacche sono nere.
Anna Foa, storica