Sarajevo, l’Haggadah della vita
Realizzata in Spagna alla metà del Trecento, quella che va sotto il nome di Haggadah di Sarajevo è una delle haggadot più note e significative al mondo. Per l’alto valore storico, culturale e artistico di questa testimonianza. E per la vicenda, eroica e commovente, che ha permesso la sua salvezza da molti pericoli. Dopo la cacciata degli ebrei di fine Quattrocento, passando da Salonicco e dall’Italia, giunse infatti a Sarajevo dove dal 1894 è conservata al Museo Nazionale. Durante la Seconda guerra mondiale sfuggì alla razzia dei nazisti perché Derviš Korkut, il bibliotecario, la nascose in una moschea, in mezzo a una serie di volumi del Corano. Riportata al Museo Nazionale, durante il conflitto degli anni 1992-95 si salvò ancora una volta per opera di Enver Imanovic – il direttore del Museo, musulmano come Korkut – che assieme ad alcuni coraggiosi poliziotti e membri della Guardia territoriale la portò via da quell’edificio, che si trovava sulla linea del fronte, e la trasferì nel caveau della Banca Nazionale.
Un patrimonio di inestimabile valore cui si ispira la nuova mostra del Museo ebraico di Bologna, “L’Haggadah di Sarajevo”, curata da Alberto Rizzerio e Danièle Sulewic e nata dalla collaborazione con il Centro Culturale Primo Levi e la Comunità ebraica di Genova. Ad essere esposte fino al prossimo 12 giugno 47 riproduzioni delle meravigliose miniature dell’Haggadah, accompagnate e integrate dagli scatti di Edward Serotta sulla Sarajevo sotto assedio e sulla solidarietà attiva dell’associazione “La Benevolencija” che agì sotto la spinta del presidente degli ebrei bosniaci Jakob Finci. Un “eroe normale”, non a caso insignito in passato del premio annuale conferito dal Centro culturale genovese. “Un uomo dalle enormi qualità che vogliamo celebrare per l’assistenza data a migliaia di cittadini durante la guerra ma anche per l’impegno, sempre attuale, finalizzato alla riappacificazione delle diverse anime e identità della regione” disse allora Piero Dello Strologo, il presidente dell’istituzione culturale da poco scomparso, nel consegnargli il riconoscimento. La mostra bolognese – inaugurata ieri dai curatori e dal rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta – va in quella stessa direzione. Con un pensiero “che inevitabilmente, in queste ore, è andato anche all’Ucraina, a questo nuovo conflitto che sta scuotendo l’Europa”, sottolinea Caterina Quareni del Museo ebraico. Particolarmente apprezzato, così, anche un ulteriore discorso che si è aggiunto a quelli previsti: quello dell’imam Ahmed Tabaković, rappresentante dei bosniaci musulmani in Italia. Dialogo e incontri nel segno della Haggadah. Non solo quella di Sarajevo ma anche le molte altre migliaia prodotte in Europa e nel mondo nel corso dei secoli, di cui il Museo ha esposto in una teca alcuni esemplari. Un libro che – come ha fatto notare il rav Sermoneta – porta spesso nelle sue pagine i segni del Seder, dei suoi riti e delle sue consuetudini. Di una vitalità ebraica, insomma, che si tramanda da millenni attraverso le generazioni.
(11 aprile 2022)