Il Telegatto va alla guerra

Perché ripetersi? Vi spiego perché. Quindi, diciamo che, così come Robert Louis Stevenson è considerato in Italia un grandissimo autore (Richard Dury, Stevenson in Italy and in Italian, Scottish Studies Review, 9, no. 1, (2008): 61-78), la stessa eccellenza andrebbe riconosciuta ad Alfred Hitchcock, il quale però non ha mai ricevuto un Oscar per la regia (tranne un Memorial Award nel 1967) perché considerato troppo commerciale, salvo ad essere riscattato dalla Nouvelle Vague nella persona dell’insigne François Truffaut. Ne consegue che attingere da Hitchcock non è un’operazione da bassa cultura, nel senso attribuitogli, per dire, quando si discorre di microstoria.
Nella lunga intervista che gli fece Truffaut, il regista inglese spiegò che “the more successful the villain, the more successful the picture” (quanto più riuscito è il cattivo, più riuscito è il film). William Rothman azzardò anche che Hitchcock, d’estrazione cockney, amasse associare il cattivo con la classe alta. Questo aspetto diventa endemico nella fortunata serie Columbo (il tenente Colombo) dove il “villain” appartiene invariabilmente alla classe alta, un ruolo che da noi assolse con successo Antonio Di Pietro, ancorché in una prestigiosa sede reale, ben più elevata e con un altro standing. il che non toglie che mi riuscisse difficile non identificare l’uno con l’altro.
Il personaggio Colombo è stato etichettato da qualche giornalista come un tipico ebreo dell’Europa orientale, un Ostjude, e quindi “superficialmente divertente, parsimonioso (invero, il personaggio è povero) invadente e insistente”. L’attore che lo impersonava, Peter Falk, era ebreo, figlio di due Ostjude, e lo erano anche gli autori. Dopotutto, nella serie “La Tata” (The Nanny), la protagonista era ebrea mentre, nella versione italiana, la si è fatta diventare ciociara, se non altro perché in Italia si fatica a identificare un ebreo in un ruolo diverso da quello della vittima.
Ah, parlavo del “villain”. Ecco, sia nei programmi televisivi sulla pandemia (falcidiati dall’avvento dei vaccini), sia in quelli sulla guerra in Ucraina, si sente la mancanza fra gli opinionisti del c.d. cattivo, e quindi si provvede ad alzare gli ascolti reclutando qualcuno che, preferibilmente, per via di una selezione darwiniana, sostenga tesi che abbiano più buchi di un Emmentaler. Come nei thriller, la presenza del predetto cattivo, provoca scariche pressoché alluvionali di adrenalina, che, paradossalmente, bloccano il dito deputato all’uso del telecomando. Chi è quello più riuscito? È difficile stabilirlo, forse addirittura impossibile, ma bisogna ammettere che qualcuno si lancia in affermazioni così avventate da rendere crudele il rifiuto di assegnargli almeno un Telegatto.

Emanuele Calò, giurista

(12 aprile 2022)