Democrazia a rischio

Venticinque Aprile all’insegna delle polemiche sul coinvolgimento dell’ Italia nella guerra tra Russia e Ucraina e in particolare sull’eventuale rifornimento di armi al Paese aggredito. Un pacifismo radicale e intransigente, ma in realtà solo formale e nei fatti schierato con i barbarici invasori e le loro violenze di massa sui civili, storce il naso e si oppone all’aiuto militare all’Ucraina, proclamando in maniera un po’ surreale che bisogna far tacere le armi e raggiungere il cessate il fuoco, come se fosse possibile staccare la spina ai combattimenti e non fosse invece necessario, proprio in nome della democrazia, rispondere a un’ aggressione che dura incessante da due mesi.
Questi distinguo tutti teorici con cui animiamo il confronto fra intellettuali che accompagna la Festa della Liberazione, sollecitando anche un esplicito paragone tra la guerra di oggi e la guerra partigiana del 1943-45, nascondono e insieme esprimono un problema molto più generale: la democrazia, struttura portante e istituzionale dei sistemi politici occidentali, è da tempo malata, non riesce più a esprimere una identità e un contenuto ideale forte, condiviso; data per scontata e sottintesa, non è più avvertita come una conquista e un bene comune, si è ormai trasformata in un orpello da indossare per farsi belli e proclamarsi in modo altisonante campioni nella difesa dei diritti e nemici giurati di qualsivoglia uso della forza. Ciò dall’esterno e nella battaglia verbale per i nobili principi. Quando però c’è concretamente da intervenire “sporcandosi le mani” per dare un aiuto fattivo a chi cerca di difendere i propri diritti e la propria vita violati con sovrano disprezzo della medesima democrazia, allora cominciano i “se” e i “ma” di tante anime belle e di tanti organismi istituzionali che non vogliono rischiare di tradire i suddetti principi fondamentali. Peccato che la difesa effettiva dei diritti violati e l’intervento a sussidio degli oppressi facciano parte a tutto tondo di una democrazia vissuta e praticata in sé, al di là del maquillage con cui spesso amiamo presentarci al mondo. Intendo dire che la democrazia è anche intervento, e intervento deciso e duro quando serve. Altrimenti essa perde consistenza, diviene atteggiamento debole e votato alla sconfitta. È esattamente ciò che sta da tempo avvenendo, e non solo in Ucraina.
Nei tempi incerti e minacciosi che stiamo vivendo, spesso ci siamo trovati a rammaricarci delle risposte insufficienti e inefficaci che le democrazie occidentali danno a violazioni sempre più gravi, gratuite e violente dei diritti fondamentali, tanto a livello individuale quanto a livello collettivo, da parte di Stati autocratici, quali innanzitutto la Russia di Putin ma a ruota la Cina comunista di Xi Jinping, l’Iran degli ayatollah, il Nord-Corea di Kim Jong Un, la Siria di Bashar Assad, la Turchia di Erdogan, l’Egitto di Al Sisi, l’Arabia Saudita e altri emuli di minor peso. Modernità e progresso tecnologico hanno fatto passi da gigante anche in questi paesi (a parte la Siria sconvolta da anni di guerra) mettendo però in secondo piano libertà e diritti, e in genere una visione del mondo democratica. Questi elementi, che dovrebbero costituire il tessuto connettivo delle istituzioni statali, sono – in quei paesi e in vari altri – aspetti sovente esterni alle tradizioni locali di potere, basate invece su forme di autocrazia politica, militare o religiosa.
Il forte rischio che oggi il mondo corre è che un Occidente a democrazia perlopiù formale, nettamente indebolita e incapace di mobilitarsi anche di fronte a violazioni clamorose di cui quella russa in Ucraina è solo la più recente punta dell’iceberg, sia di fatto votato alla sconfitta davanti all’emergere progressivo di potenze autoritarie e antidemocratiche che hanno come propria stella polare la realizzazione di un verticistico potere economico-politico e non certo il benessere, i diritti e la libertà dei cittadini.
La riflessione che il 25 Aprile di quest’anno potrebbe suggerire riguarda allora la necessità di ridare contenuto positivo, forza e convinzione interna alla democrazia. Solo a quel punto sarà possibile coniugarla in modo costruttivo con le istanze concrete per una pace condivisa e non con l’utopia di un mondo totalmente disarmato.

David Sorani