Ucraina, secoli di vita ebraica
“L’Ucraina ha una storia difficile da definire, fatta di intrecci, di miscugli di popoli e lingue. Il significato stesso di Ucraina, ‘stare al confine’, indica una dimensione di precarietà, una non definizione”. Una precarietà che ha coinvolto la lunga e articolata storia ebraica ucraina, come ha spiegato lo scrittore Francesco Cataluccio in occasione dell’incontro “Ebraismo in Ucraina dall’Ottocento ad oggi” organizzato dall’associazione ex Allievi Scuola Ebraica Torino. A ripercorrere assieme a Cataluccio le vicende del mondo ebraico ucraino, tra cultura fiorente e tragiche repressioni, gli storici Marco Buttino e Simone Bellezza. “Se pensiamo che Odessa è considerata come una delle culle della cultura ebraica moderna, capiamo l’importanza di questa area geografica per l’ebraismo”, ha evidenziato in apertura il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni. L’incontro è stata anche l’occasione per ascoltare la breve testimonianza di Orest Vasilko, docente del politecnico di Leopoli. “Non sappiamo quale sarà il nostro destino così come non sappiamo dove cadono le bombe russe”, ha sottolineato Vasilko, raccontando la grande incertezza che gravita attorno al futuro del conflitto e della stessa Ucraina.
L’incontro si è però concentrato sul passato del paese, in particolare quello ebraico, con l’inquadramento di Cataluccio delle origini della presenza ebraica nell’area fino al suo sviluppo nel corso dei secoli lungo diverse direttrici, da quella religiosa – come il hassidismo – a quella più laica-intellettuale. A raccontare la contraddittorietà della vita degli ebrei ucraini, circoscritta per volere imperiale nella Zona di Residenza, è stato Buttino, già docente di Storia dell’Università di Torino. “Quando c’è un’affermazione culturale ebraica in qualche modo nella storia questa si scontra con l’ambiente circostante, pronto a rispondere a questa affermazione con violenza”. È il caso, ha spiegato lo storico, dell’Ucraina con i pogrom e con le leggi imperiali che limitavano i diritti degli ebrei. “La risposta a un certo punto di fronte a questa minaccia è stata duplice o la radicalizzazione politica o l’emigrazione”. Chi è rimasto, nonostante i pogrom, ha poi vissuto l’orrore della Shoah e dell’occupazione nazista del 1941. Una memoria tragica tenuta viva dagli ebrei, come ha raccontato Simone Bellezza, nonostante l’ostracismo del regime sovietico. “Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale il potere sovietico non vuole riconoscere nessuna particolarità nella memoria degli eventi. Non si parla quindi di Shoah, ma di vittime sovietiche”. L’esempio più chiaro di questo tentativo di rimodellare la storia è stato Babij Jar. “Nonostante i divieti e i rischi, nel venticinquesimo anniversario della strage nel 1966 a Babij Jar si ritrovarono ebrei e intellettuali ucraini per commemorare la strage”, ha raccontato Bellezza. Un momento di memoria condivisa non scontato e poi evolutosi nel corso del tempo, non senza inciampi e colpevoli oblii. Fino ad arrivare a un presente stravolto per tutti dalla violenza di una nuova guerra.