Ticketless – Partigiani della pace

Lo so, c’è molta retorica a buon mercato nei confronti giornalistici tra la Resistenza ucraina e la Resistenza italiana del 1943-1945. Il paragone tende alla semplificazione, alla strumentalizzazione. Sono due contesti storici differenti, due momenti diversi, attori non paragonabili tra loro eccetera eccetera. Però, intorno al 25 aprile di questo dolente 2022, mi ha infastidito ascoltare, dalla voce di persone che stimo, la seguente, assurda affermazione: i nostri genitori sarebbero saliti in montagna “per portare la pace”. Questa non è retorica, ma un’autentica stupidaggine. Mi ha amareggiato vederla in bocca a persone come me cresciute alla lezione dei piccoli maestri partigiani. Per portare la pace i partigiani hanno fatto la guerra, hanno imparato a usare le armi. Le hanno adoperate persone come Luigi Meneghello che osservando con meraviglia le proprie mani insanguinate si chiederà se sono ancora le stesse mani che fino a pochi mesi prima a Padova avevano in mano i codici petrarcheschi. Per avere la pace bisognava fare la guerra. Questa settimana mi limito dunque a riprodurre queste brevi righe di Meneghello e provo a dedicarle ai miei amici partigiani della pace perché provino a pensarci su. Magari cambieranno idea: “Sparare addosso alle persone, se capita per incidens, non fa impressione; si cammina per un sentieruolo di monte a notte fatta, col Gios in Valstagna; a una svolta del sentieruolo il Gios salta, pare un gatto, in un lampo esplode qualcosa di multiplo, ti investe una ventata, un globo di baccano; sbatti per terra col petto e col viso, spari anche tu come un matto, da sotto in su. Queste due cose che vi rotolano addosso sono uomini ammazzati; questo non è niente.
Altra cosa col ragazzotto tedesco, sull’Altipiano; aveva detto di aver disertato per unirsi a noi, è stato qui qualche tempo, poi ha tentato di scappare, è stato preso, dopo un po’ ha confessato, è una spia. Non abbiamo scelta. Siamo tutti d’accordo, anche lui. Gli abbiamo legato le mani con lo spago in questa piccola dolina di roccia. Abbiamo scacciato il Finco che si disponeva a rosicchiargli un orecchio, senza alcuna autorizzazione.
Si domanda a questo biondino se vuol lasciar detto qualcosa, per qualcuno a casa sua in Germania, se saremo ancora al mondo alla fine della guerra. Esita, poi dice di no. Gli si domanda chi vuole che resti con lui, e lui sceglie. Gli altri vanno via.
Si sentono ronzare le api. Qui la stagione è tarda per loro.
Si è in piedi, quasi ci si tocca. In una specie di scossa pare di morire insieme”.

Alberto Cavaglion